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Da Oxford a Londra: la Royal Society e la scienza anglo-britannica (1660-1827)

di Davide Arecco


Prima associazione scientifica inglese, nata il 28 di novembre del 1660, lo stesso anno della Restaurazione degli Stuart sul trono, e sotto la loro protezione, for improving natural knowledge, la Royal Society ha rappresentato sin da allora il governo della ricerca scientifica britannica, sul fronte istituzionale. L’accademia venne fondata a Londra, accogliendo anche i virtuosi baconiani che – sin dal tramonto del XVI secolo – si riunivano al Gresham College, dal diarista e scrittore John Evelyn e dal matematico ed architetto (membro anche della Massoneria operativa inglese, di cui la Società Reale era uno dei volti a livello pubblico) Christopher Wren, cultore di geometria e cripto-cattolico, vicinissimo sul piano politico alla rinata corte stuardista. I primi accademici londinesi, affiancati da Robert Boyle (colui che trasformò la tradizionale alchimia in moderna chimica), John Wilkins (tra i massimi naturalisti e religiosi anglicani seicenteschi) e da Lord William Brouncker (che teneva pure importanti contatti epistolari con i Gesuiti romani, tramite l’ingegnere militare Robert Moray, nella vicina Scozia, e il diplomatico ed ambasciatore John Dodington a Venezia), avevano come primario fine quello di promuovere l’eccellenza tecnico-scientifica, anglo-britannica ed europea, nonché certi usi sociali della scienza, per il miglioramento della vita civile, rifacendo esperimenti – solo dai fatti accuratamente riprodotti in laboratorio potevano venire le teorie – e ridiscutendo la letteratura circa le più recenti scoperte scientifiche ed invenzioni tecniche. Un lavoro costante di aggiornamento e di promozione del sapere, dunque, a scopi nazionali e non solo, visti i legami con il continente.
Il motto della Royal Society, istituzione insieme statale e sovra-nazionale, era nullius in verba (di chiara ispirazione anti-aristotelica). Essa ricevette la propria patente reale, col decreto firmato da Re Carlo II. L’accademia inglese fu tra le prime in Europa a operare un vero e proprio trasferimento scientifico di conoscenze tecniche, valorizzando e riqualificando in termini alti e dotti un sapere che veniva anche e soprattutto dal mondo empirico dei mestieri e delle arti meccaniche, sottoposte, ogni volta, ad una severa riproduzione e riscrittura, in chiave sperimentale (il vecchio progetto baconiano della Nuova Atlantide), e ora in particolare geometrica. A promuovere la fondamentale istanza della matematizzazione della realtà naturale (quella terrestre, studiata da fisica, geologia, mineralogia e metallurgia; quella celeste, studiata da astronomia d’osservazione e meccanica celeste), fu Wilkins, prelato e stretto collaboratore di Boyle e Wren, già organizzatore della ricerca scientifica ad Oxford, prima ancora che a Londra. In effetti, nella capitale del Regno, si importò per mano loro un modello di associazionismo accademico che la cultura baconiana e anti-scolastica oxfordiana aveva, durante gli anni precedenti, già testato, sia pure in forme, più o meno, segrete – Wilkins e Boyle erano stati i due membri di punta del misterioso Invisible College tra 1646 e 1647, non senza influenze di natura ermetico-esoterica ed occulta – a causa dei disordini puritani e della guerra fra la Corona Stuart ed il parlamento guidato da Cromwell contro i lealisti di Re Carlo I (1638-1653).
Da Oxford, fedele roccaforte realista (e, da fine Seicento, giacobita), veniva altresì il teologo e matematico John Wallis (1616-1703), l’autentico simbolo di quello che Salvatore Rotta la chiamato – con una felice ma inascoltata espressione – il rovescio teologico della rivoluzione scientifica nelle Isole britanniche. A Wallis, si devono i maggiori trattati matematici inglesi, prima di Newton, ossia la Arithmetica Infinitorum (1656), il Tractatus de Cycloide (1659) e l’Algebra (1693), così come la dissertazione di teologia dal titolo A Seventh Letter concerning the Sacred Trinity (1691). Inoltre, di Wallis è ancora oggi utilissimo, come fonte storica sulle origini della Royal Society, il Commercium epistolicum, raccolta di corrispondenze, immediatamente precedenti la nascita dell’accademia: dalle lettere in esso contenute traspare il ruolo storico determinante, avuto da Wallis e da Lord Brouncker (1620-1684), matematico di Oxford e primo presidente della Royal Society, nelle operazioni grazie alle quali, sia l’Oxford Philosophical Club, sia l’Invisible College, confluirono nel primo nucleo del consorzio scientifico londinese, iniziando a forgiare la prima identità intellettuale della new natural philosophy albionica, frutto anche di una alleanza a tre, fra trono, altare e scienza. Tra le mura della Royal Society, Wallis portò altresì in dotazione il meglio della produzione matematica inglese di età precedente, segnatamente la Clavis Mathematica (1648) e la Trigonometria (1657) dell’ex puritano William Oughtred. Wallis fu inoltre capo crittografo nel Regno di Carlo II, e lavorò a contatto con il master of mechanicks Sir Samuel Morland, membro del Private Council del sovrano, impegnato nel drenaggio dei siti minerari inglesi allagati, con le prime macchine a vapore della storia, modello poi per i successivi dispositivi di Savery (1698) e Newcomen (1705).
Wallis, Wilkins e Boyle furono tra i primi, alla nascita della Royal Society, a venire cooptati al suo interno da Evelyn. Questi chiamò come fellows anche Locke – che, nel 1663, ad Oxford fece da assistente a Boyle nei primi tentativi di trasfusione – medici come Thomas Willis (visitato nel 1665, a Londra, dal viaggiatore mediceo Cosimo Brunetti) e William Petty (il fondatore della ‘aritmetica politica’ un secolo avanti Condorcet), antiquari come John Aubrey ed eruditi come Thomas Browne, così come illustri intellettuali stranieri (il tedesco Leibniz e il cartesiano olandese Huygens). Anche valenti italiani vennero ascritti alla Royal Society: tra di loro, a fine Seicento, l’oceanografo Luigi Ferdinando Marsili (autore di importanti osservazioni sulle acque del Bosforo) e, nella fattispecie, il felsineo Marcello Malpighi (iatrofisico galileiano, la cui Opera posthuma fu stampata, a cura della Royal Society, proprio a Londra, punto di riferimento per la tradizione inglese negli studi biologici, culminati fra il 1738 e il 1739 nelle Croonian Lectures, in omaggio al socio fondatore della Società Reale William Croone e iniziate nel 1701).
Oltre ad Oxford, un’altra istituzione accademica che con i suoi statuti e i suoi metodi concorse a prefigurare la vita scientifica della Royal Society fu il Royal College of Physicians, nato nel 1518 e spazio che concedeva le licenze per l’esercizio della professione iatrica, e nelle città e nelle contee dell’Inghilterra, nonché luogo ove – sotto la presidenza di William Harvey, medico personale di Re Carlo I, e scopritore della circolazione sanguigna, con il De motu cordis (1628) – non senza fatica e resistenze, fu accettata e codificata nel Seicento inglese la alchimia paracelsiana, già sottoscritta dal mago e astrologo John Dee in epoca tudoriana. Roccaforte conservatrice, grazie ad Harvey, il Royal College of Physicians diede con ciò validi contributi alla nascita, in Inghilterra, di una tradizione di stampo iatro-chimico, ben rappresentata da John Mayow (1640-1679), fellow della Royal Society e tra i primi fautori oltre Manica d’un atomismo democriteo opportunamente cristianizzato.
Sin dal suo sorgere, la Royal Society promosse, materialmente, lo schema della storia naturale baconiana, rivolta all’advancement of learning, mediante potenti incentivi istituzionali – sovente o, quasi sempre, nell’interesse dello Stato – dati ad ingegneria navale, cantieristica, tecniche belliche, scienze fisiche e mediche, matematiche applicate, e calcolo analitico, con un particolare riguardo – era l’accademia scientifica di una nazione insulare e quindi marittima – verso cartografia e viaggi di esplorazione e scoperta geografica (nell’Ottocento, anche ai due Poli), senza dimenticare, infine, le scienze della Terra (iniziate, in Inghilterra, con Moray nelle Highlands e culminate, poi, nella prima metà del XIX secolo, nei Principles of Geology di Lyell, padre della paleontologia moderna).
Il primo presidente della Royal Society fu il Visconte William Brouncker (1662-1677). A lui, quindi, successe il diplomatico e matematico irlandese Sir Joseph Williamson (1677-1680), dopo di che Wren assunse le redini del consesso soltanto per due anni (1680-1682), seguìto dal giurista John Hoskins (1682-1683), da Cyril Wyche (1683-1684, sino allora pubblico amministratore del Castello di Dublino), dall’ormai cieco Pepys (1684-1686) e da altri uomini politici, che di scienza erano solo dilettanti ed amatori, per quanto curiosi, e non privi di competenze: John Vaughan (1686-1689), il Conte di Pembroke Thomas Herbert (1689-1690), il diplomatico giacobita e referente inglese della scienza gesuitica romana Sir Robert Southwell (1690-1695), Charles Montaigu (1695-1698) – poeta e statista, Conte di Halifax e patrono di Newton a corte (nel 1696 si diede da fare per farlo nominare direttore della Zecca di Stato londinese) – e il giurista John Somers (1698-1703). Scelte istituzionali che tradivano il desiderio di rinsaldare, specie nell’età di William e Mary sul trono, il legame tra la scienza e la politica, la cultura e il potere. La Royal Society tornò ad essere diretta da un vero uomo di scienza solamente con Newton. Fu il principio, nel Regno Unito, di un Illuminismo scientifico, in buona sostanza, ancora ignoto all’Europa continentale di allora, e simbolo della precoce modernità anglo-britannica settecentesca, già avviata peraltro nel secondo e tardo XVII secolo.
La Royal Society raggiunse il suo zenith, durante la presidenza di Isaac Newton (1642-1727), che le portò in dote le proprie scoperte prima ottiche e poi gravitazionali, per poi diventarne la guida nel 1703. Dell’accademia scientifica di Londra, Newton era stato una gloria e sin dal febbraio 1668, quando aveva terminato di costruire con le sue mani il telescopio catottrico a riflessione con oculare esterno al tubo di puntamento. Tramite esso, il docente lucasiano del Trinity College era riuscito ad osservare le fasi di Venere ed i satelliti circumgioviali (le lune medicee di Galileo). Newton l’aveva presentato alla Royal Society, con la storica lettera al segretario Henry Oldenburg, creatore nel 1665 delle Philosophical Transactions, il giornale scientifico della Royal Society (a cui si sarebbero, dal 1831, aggiunti i Proceedings). Perfezionato ulteriormente il nuovo cannocchiale, Newton, nella sua lettera dell’autunno 1671 ad Oldenburg – il suo principale referente, all’interno della Royal Society, colui che lo salvò dall’isolamento – gli parlò e dello strumento e della natura, composita, della luce bianca, vista sperimentalmente come una mescolanza di colori. Il rapporto newtoniano – poiché tale esso era, di fatto – verteva sull’unione di fisica matematica e filosofia sperimentale. Fu presentato ai fellows della Royal Society, in occasione del meeting del 18 febbraio 1672, con grandi riscontri. Da una settimana soltanto, Newton era stato accolto fra i membri della Società reale. Fu l’inizio di una ascesa, complessa e mai facile, al vertice dell’istituzione accademica inglese. Nell’estate, e durante i mesi di autunno di quell’anno, la Royal Society si preoccupò di preservare da critiche – nonostante le opinioni di Lord Berkeley, il nuovo strumento era di ottima qualità – lo stesso Newton, che dietro consiglio dell’amico Oldenburg scrisse un articolo descrittivo, sul dispositivo ottico, pubblicato poi sopra il fascicolo LXXXI delle Philosophical Transactions. L’eco fu ragguardevole, anche presso il pubblico italiano del Giornale de’ letterati, di Roma. Servendosi poi del fidato Oldenburg, Newton fornì chiarimenti tecnici, sul nuovo telescopio, all’«ingenious French philosopher» Adrien Auzout: documento interessante, apparso in seguito sempre sulle Transactions, che pervenne, ad Oldenburg, nell’ottobre 1672, insieme a una lettera (tuttora inedita) del galileiano Lorenzo Magalotti, anche lui interessatissimo (al pari dell’intera comunità scientifica granducale) alla cosa. I magalottiani Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana (1667) erano stati, del resto, un modello, per i gruppi scientifici di Oxford e di Londra, dopo la loro fusione, nella Royal Society, ed il medico e naturalista Richard Waller, fra gli altri corrispondente del nostro Antonio Vallisneri (pure lui baconiano, come gli inglesi), nel 1684 li avrebbe tradotti, into English. Solamente tre anni dopo, sarebbero apparsi, anche grazie all’aiuto di Edmund Halley, i Principia newtoniani, il massimo coronamento di tutta la scienza d’età moderna e punto di riferimento imprescindibile nel Settecento della cultura illuministica anglo-europea.
L’ammissione e la successiva ascesa di Newton tra le fila della Royal Society costituiscono, a ben guardare, una sorta di spartiacque storico: prima di lui vi è la cerchia barocca dell’accademismo baconiano inglese seicentesco, dopo l’istituzionalizzazione illuminista del sapere scientifico durante il XVIII secolo, lungo la sua scia, e seguendo le sue attente indicazioni. E’ Newton a favorire infatti la trasformazione settecentesca della Royal Society. In precedenza, per un decennio e più, dalla sua fondazione, la accademia londinese visse le pratiche sociali e culturali dei suoi primi anni ancora in veste di propaggine del rosa-crociano Invisible College, di cui Boyle aveva raccontato, in occasione del suo carteggio risalente al 1646-1647, ad Isaac Marcombes (l’ugonotto ginevrino e suo mentore): tre lettere che sono documenti basilari, per individuare concretamente le radici ed origini storiche di un modello di associazionismo accademico, inglese, votato alla investigazione in rebus naturalibus, per mezzo d’un rinnovato sperimentalismo: tra Pisa, Firenze e Padova già galileiano.
Alla nascita della Royal Society – in accordo con gli Stuart: la scienza andava, in Inghilterra, restaurata, come la politica – se i membri della pre-esistente Philosophical Society of Oxford e della Bodleian Library erano molto numerosi, e di spicco (sin dal 1645), lo stesso non si poteva certo dire dell’Università di Cambridge, fatti salvi Francis Tallents del Magdalen College e pochi altri. Londra mise di suo il gruppo di ex fuoriusciti calvinisti capeggiato da Samuel Hartlib, che anni prima aveva creato l’Office of Address, una variante della utopica Casa di Salomone baconiana. La Repubblica delle Lettere aveva, inoltre, visto, in Francia, le riunioni scientifiche della Accademia Montmor (nel 1657), tenutesi secondo schemi abbastanza informali, poi in parte replicati entro la Royal Society di Londra, almeno ai suoi inizi. L’Inghilterra guardava d’altra parte con un certo interesse, a ricerche e studi realizzati a Parigi, da Du Hamel, Cassini, Fontenelle, Cassegrain e soprattutto Thévenot, fra le relazioni epistolari del primo segretario della Royal Society, il tedesco di nascita Henry Oldenburg, alchimista giunto a Londra da Brema nel 1653 per spiare le decisioni del Commonwealth, per conto degli Elettori e Stati tedeschi del Sacro Romano Impero. Nella capitale francese, Oldenburg stesso, forse più di una volta, aveva potuto presenziare, di persona, alle adunanze dell’Accademia Montmor ed il fisico, astronomo e biologo Robert Hooke – poi curatore degli esperimenti, nella prima Royal Society – scrisse che, nella Francia del giovane Re Luigi XIV, Cassini «makes, then, Mr Oldenburg to have been the instrument, who inspired the English with a desire to imitate the French, in having Philosophical Clubs, or Meetings; and that this was the occasion of founding the Royal Society, and making the French the first. I will not say, that Mr Oldenburg did rather inspire the French to follow the English, or, at least, did help them, and hinder us. But 'tis well known who were the principal men that began and promoted that design, both in this city and in Oxford; and that a long while before Mr Oldenburg came into England. And not only these Philosophic Meetings were before Mr Oldenburg came from Paris; but the Society itself was begun before he came hither; and those who then knew Mr Oldenburg, understood well enough how little he himself knew of the philosophic matter». Una testimonianza rimasta a lungo manoscritta, ma altamente significativa.
Al secondo incontro della Royal Society, Sir Robert Moray, geologo e studioso delle tecniche di estrazione mineraria, massone e stuardista di antica data, annunciò, agli altri fellows, che Carlo II aveva approvato in via definitiva le adunanze del gruppo, con una carta regia, firmata il 15 di luglio del 1662. Un secondo documento analogo giunse, dal Re, il 23 aprile 1663. L’accademia londinese, pertanto, era stata riconosciuta ed a tutti gli effetti, e poteva lavorare apertamente, con finanziamenti statali non alti, ma grande libertà, a differenza della di poco posteriore (1666) istituzione consorella parigina. I primi meetings della Royal Society furono dedicati a versatili, ed importanti esperimenti, effettuati da Robert Hooke, e Denis Papin, in seguito affiancati da Francis Hauksbee, studioso delle nuove macchine, idrauliche e pneumatiche. Dopo la grande peste di Londra – descritta, nel 1722, da Defoe – la sede della Society venne spostata, temporaneamente, ad Arundel House. Nel 1667, dietro suggerimento di Wilkins e Oldenburg, il vescovo di Rochester Thomas Sprat (1635-1713) pubblicò la prima storia a stampa dell’accademia scientifica inglese. Nelle sue pagine, Sprat rimarcava, da un lato, il debito ideale nei confronti della House of Solomon tratteggiata dalla New Atlantis baconiana del 1626 (con l’ombra lunga anche della Christianopolis rosa-crociana di Johann Valentin Andreae) e, dall’altro, il legame fortissimo con la Corte – che lo storico sa esser costituita in massima parte da massoni, cripto-cattolici, scettici, pirronisti e libertini: spesso insieme – di Carlo II Stuart.
La Royal Society dell’ecclesiastico e scrittore anglicano – Sprat è figura ancora da studiare, in dettaglio – si poneva come un istituto di ricerca, rivolto alla pubblica felicità (nel Settecento, grande mito dei Lumi), come uno spazio sociale, privilegiato, ed un luogo centralizzato – al pari del potere statale, restaurato dalla dinastia Stuart – di studio e ridiscussione plurale, tra pari. Simili schemi, nel medesimo periodo, vennero ripresi e ampliati anche da Bengt Skytte (diplomatico di corte svedese e seguace, in Nord Europa, della pansofia del boemo Amos Comenio) e più tardi da Abraham Cowley (il grande saggista e poeta inglese della Restaurazione). Quest’ultimo si rifece e rivolse insieme alla Royal Society nella sua Proposition for the Advancement of Experimental Philosophy del 1661, che mirava alla ricreazione di un college consacrato a scienze e a tecniche, dotato di sale di riunione, di una ricca biblioteca specifica e di una cappella, per le funzioni religiose. Per i fellows della Society, non ultimo lo stesso Newton, praticare l’attività scientifica era un modo, sperimentale, per ritrovare, nella realtà fenomenica intra-mondana, le prove dell’esistenza e del piano di Dio, gettando un colpo d’occhio sulla saggezza suprema ed infinita del Grande Architetto dell’Universo (come i massoni e i deisti inglesi chiamavano allora l’Altissimo). Questo, sia tra le colonne del Tempio massonico, sia negli incontri settimanali di una Royal Society tollerante e latitudinaria (per volere, specialmente, di Boyle), inter-confessionale e cosmopolita: un universalismo dei valori, che configura già, nel pieno e maturo Seicento inglese, il credo dell’Illuminismo britannico del secolo successivo.
La Royal Society cominciò, già dal 1661, a dotarsi di una propria biblioteca specializzata, e di apposite aule, per gli studi anatomici e botanici. Dopo il Great Fire che distrusse Londra nel 1666 – testimoniatoci dal segretario dell’Ammiragliato, Samuel Pepys, e, poco dopo, dal giornalista Daniel Defoe, così come da Wren, il quale ricostruì fra le altre chiese la Cattedrale di Saint Paul – la Royal Society si trasferì presso la dimora nella capitale inglese dei Duchi di Norfolk. Successivamente, nel 1710 – durante la presidenza di Newton, che ne fece il proprio feudo personale, da cui controllare e dirigire l’intera ricerca scientifica e tecnica anglo-europea – la sede fu spostata a Crane Court. Nella seconda metà del Seicento, quasi tutti i natural philosophers ascritti alla Royal Society erano anche massoni – talvolta segretamente cattolici (come Wren ed Ashmole) e legati, sempre, alla causa della monarchia anglo-scozzese – mentre, nel corso del secolo XVIII, durante l’età dei Lumi, un massone su quattro ne faceva parte. Il Settecento vide inoltre la Royal Society impiegare i cenacoli muratorii, legati, almeno sino all’epoca di re Giorgio III di Hannover e del suo primo ministro, William Pitt, al servizio della diffusione e circolazione continentale del newtonianesimo, intrecciato, a sua volta, al sistema oligarchico whig-walpoliano e alla Gran Loggia Unita di Inghilterra, sorta, per iniziativa del pastore presbiteriano scozzese James Anderson e dell’ugonotto francese Jean Desaguliers, nel 1717, a Londra. Altro massone di rango, e presidente della Royal Society dal 1741 al 1752, fu l’antiquario Martin Folkes, studioso, con il newtoniano William Stukeley, dei Britanni, della civiltà celtica e dei Druidi, nonché alfiere della nuova via hannoveriana alla Libera Muratoria illuminista scozzese.
Tra XVII e XVIII secolo, molti documenti relativi alle prime tre decadi di vita della Society – alcuni erano rimasti manoscritti, sino al 1684 ed oltre – furono catalogati e aggiunti al Charter Book dell’accademia. Essi rappresentano ancora oggi, per gli storici delle istituzioni scientifiche, insieme uno strumento utilissimo ed un notevole rompicapo (dato che non sempre date ed informazioni sono coincidenti e collimano). Molto importante fu il lavoro svolto dal naturalista ed antiquario, nonché bibliofilo e collezionista di vaglia, Hans Sloane (1660-1753), successore di Newton, alla presidenza della Royal Society, dal 1727 al 1741. In quei tre lustri, il fondatore del British Museum, medico di formazione, mise insieme una raccolta, imponente, di libri (alla base della British Library) e reperti, provenienti dall’Oriente, come dal Nuovo Mondo, specie dalle colonie della America britannica. Ad aiutare Sloane, furono il matematico e costruttore di strumenti nautici John Hadley (1682-1744) e il geometra e geodeta William Jones (1675-1749), due tra i fellows di maggiore talento, che la Society poté vantare, nella prima metà del secolo XVIII. Nei quindici anni della sua presidenza, Sloane fece moltissimo per continuare e portare a termine l’opera, già intrapresa dai massoni e ugonotti europei, di definitiva affermazione su scala continentale della nuova scienza gravitazionale, newtoniana, che prese piede anche nel Piemonte sabaudo, grazie all’azione diplomatica del console inglese a Torino, Edmund Allen, durante il regni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III.
All’inizio del Settecento, complice l’azione del triangolo Massoneria-newtonianesimo-Lumi, si rafforzò, in maniera ulteriore, l’asse scienza-fede. Le Boyle Lectures, che erano incominciate nel 1692, furono incoraggiate dalla Royal Society, e trovarono nei newtoniani Samuel Clarke e Richard Bentley due grandi esponenti moderati della scienza protestante britannica. Nel 1731, inoltre, venne istituira la Copley Medal per premiare i migliori studi, in ogni ramo del sapere. La Royal Society da allora era saldamente in mano alla cultura astronomica di marca newtoniana: James Bradley, tramite meticolose osservazioni telescopiche, stabilì e la nutazione dell’asse terrestre e la ‘aberrazione delle stesse fisse’ (la nostra precessione degli equinozi), mentre presidenti della Royal Society furono gli studiosi di fisica celeste George Parker (1752-1764, più famoso come il II Conte di Macclesfield) e James Douglas (1764-1768). Dopo di loro, la Società Reale di Londra visse un lustro di pronunciato appannamento, incapace, ormai, di evolversi ed adagiata su una sterile celebrazione delle conquiste newtoniane passate. Durante la presidenza di giuristi e politici, come James Burrow (1768), e James West (1768-1772), la stagnazione accademica inglese fu quasi totale, a tutto vantaggio di altre e ben più vive realtà urbane – Parigi, innanzitutto, ma anche Berlino, Erfurt, San Pietroburgo, Stoccolma, Vienna e la stessa Torino – prima di risollevarsi, con l’opera di John Pringle, presidente della Royal Society, dal 1772 al 1778, medico eminente – assieme allo scozzese James Lind – ed ultimo grande exemplum storico del matrimonio aristocrazia-scienza nel mondo inglese d’antico regime.
Tra il 1778 e il 1780, sotto la presidenza del naturalista ed esploratore Joseph Banks, la Royal Society si trasferì a Somerset House. Banks, che vantava viaggi oceanici, assieme al capitano Cook, diresse l’accademia scientifica londinese per oltre quarant’anni, ed esercitò una influenza oltremodo rilevante sullo sviluppo delle ricerche scientifiche in Gran Bretagna, nel secolo dei Lumi. Tra XVIII e XIX secolo, la Royal Society – di cui e da più parti, ad esempio da John Playfair, il professore e di matematiche e di filosofia naturale dell’Università di Edimburgo, si chiedeva uno svecchiamento ed una modernizzazione – fu affiancata da nuove istituzioni scientifiche, come la British Association e il Royal Institution. Micheal Faraday – padre dell’elettromagnetismo insieme a Humphry Davy, che fu presidente della Royal Society dal 1820 al 1827, dopo Banks e Wollaston – fu colui che traghettò il newtonianesimo anglo-britannico sei-settecentesco nella nuova età vittoriana.
A metà circa del XVIII secolo, Lord Hardwicke (1690-1764), leader del circolo che portava il suo nome, dominava letteralmente la vita, sociale e politica, del Regno Unito, in particolare durante gli anni Cinquanta e primi Sessanta. In quegli stessi anni, si impose vieppiù, grazie a lui, un gusto al contempo estetico e salottiero, che ebbe riflessi negativi sulla ricerca scientifica e accademica. Nella Royal Society, in particolare, diminuì in maniera considerevole il numero degli esperimenti davvero notevoli, a confronto con quelli, grandiosi, degli anni sino al 1740 circa. Ben poco degno di nota fu, a metà Settecento, realizzato. La scienza inglese era andata cristallizzandosi, nella meccanica, sulla vuota ed enfatica ripresa del paradigma newtoniano, portato in trionfo nelle società di lettura e nelle logge libero-muratorie, anche presso la vicina e protestante Olanda. Presto, il governo britannico si rese conto dei rischi potenziali, impliciti in tale fase di assuefazione scientifica. Londra rischiava, in effetti, di perdere la propria leadership, a favore di Parigi, se la cosa già non era avvenuta, come da più parti – Scozia e Irlanda, soprattutto – giustamente si lamentava. Il concilio di Stato tornò quindi a promuovere e ad incoraggiare con energia gli studi sperimentali, incentivando pure l’indagine con lauti premi. In gioco, vi era il destino di una nazione. Una volta conclusasi la supremazia whig della cerchia accademica di Lord Hardwicke, con la fine del regno di Giorgio II, cerchia che aveva visto, attivi ed operanti, in pratica i soli Daniel Wray (antichista e chimico, di Oxford) e Thomas Birch (il segretario della Royal Society e l’autore della seconda storia dell’accademia londinese, stampata dal Millar in più volumi tra il 1756 e il 1757), un vento nuovo cominciò a soffiare. Nel 1777, all’interno della Royal Society, si cominciò seriamente a lavorare nel campo dell’elettricità (nuova frontiera in ambito fisico) e Benjamin Wilson perfezionò in misura rimarchevole i parafulmini e conduttori, che Franklin aveva inventato in America a Filadelfia, nel 1749, fatti conoscere tra Regno Unito ed Italia settentrionale prima da Collinson e Beccaria, quindi da Toaldo e Barletti, quest’ultimo a Pavia.
A partire dal 1739, il numero dei fellows della Royal Society era cresciuto, esponenzialmente, con svariate centinaia di nuovi membri, ascritti al consesso scientifico di Londra. Le Philosophical Transactions avevano continuato ad uscire, regolarmente. Malumori e gelosie, peraltro, non erano e mai mancati. Nel 1705 i soci del Gresham College si erano lamentati con la Regina Anna per la loro condizione di minorità intellettuale e scientifica, sempre in ombra della Royal Society, che ne aveva assorbito e da un certo punto di vista regimentato il gruppo originario. Sotto l’ultima monarca degli Stuart, avvenne anche il nuovo trasferimento della sede in Fleet Street: un lavoro delicato e gravoso, vista l’ingens sylva di macchine, strumenti ed apparecchiature, anche ingombranti, da spostare. Una nuova ed ulteriore sede fu poi individuata a Carlton House, già appartenuta a Lord Chesterfield e al Principe di Galles (dal 1732 al 1751), ristrutturata nel 1783 dall’architetto Henry Holland.


Bibliografia

Fonti primarie a stampa

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Letteratura secondaria e studi critici

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Documento inserito il: 25/10/2023
  • TAG: storia moderna, accademie scientifiche, storia inglese, Restaurazione Stuart, storia politica e istituzionale, Illuminismo britannico, storia della scienza e della tecnica

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