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L’anno della cometa: Halley e le osservazioni astronomiche inglesi tra XVII e XVIII secolo

di Davide Arecco


Edmond Halley (1656-1742), matematico ed astronomo, geofisico e studioso di meteorologia, tra gli iniziatori della moderna climatologia, venne al mondo ad Haggerstone, nei pressi di Londra, da una famiglia originaria del Derbyshire. Nel 1673 entrò al Queen's College di Oxford e, già prima di conseguire la laurea, si fece notare, pubblicando studi sul sistema solare e le macchie solari. Nel 1676, visitò l’Isola di Sant'Elena per studiarvi le stelle dell'emisfero australe. Qui, ne approfittò pure per osservare i transiti di Mercurio e Venere. Nel maggio 1678, fece ritorno in Inghilterra, non senza transitare per la Danzica di Hevelius, allora in polemica con Hooke, circa alcune risultanze ottenute per mezzo del telescopio. L'anno seguente, Halley fece dare alle stampe il suo Catalogus Stellarum Australium, che comprendeva 341 stelle meridionali. Il libro gli guadagnò l’appellativo di novello Tycho Brahe. Conseguì intanto il Master of Arts ad Oxford ed entrò a fare parte della Royal Society, a Londra. Fu infatti tra quei natural philosophers del gruppo scientifico oxoniense che l’accademia londinese cooptò fra le proprie fila, valorizzandone il talento, in prospettiva, tanto britannica, quanto europea.
Nel 1682, Halley si stabilì a Islington, dove fece osservazioni lunari (con cannocchiali di sua invenzione) e studiò il fenomeno della gravità, sottoscrivendo le leggi di Keplero, circa il moto dei pianeti. Nell'agosto del 1684, si recò a Cambridge, per discuterne con Newton, che aveva già risolto il problema seppure senza pubblicare alcunché al riguardo. Halley, comprendendo di avere di fronte il massimo filosofo naturale del secolo e la maggiore scoperta di tutta la storia della scienza (vale a dire la gravitazione universale), spinse Newton a stendere e a pubblicare (ma a sue spese) quelli che sarebbero stati di lì a due anni e mezzo i Principia mathematica, il libro cardine di tutta la scienza di età moderna e il coronamento anche della tradizione galileiano-baconiana precedente.
Halley iniziò nel frattempo una sua ricognizione astronomica, in merito alle comete ed a tutti i problemi geometrici legati alla misurazione delle loro orbite, pubblicando una dissertazione, On the motion of bodies in an orbit. Cominciò anche, nello stesso periodo, una serie di rilevamenti di tipo idraulico e idrostatico, sulle rive del Tamigi, analizzando la fisica delle acque, sia sperimentalmente, nella fattispecie mediante il compasso, sia attraverso rigorose e eleganti dimostrazioni matematiche, di stampo tradizionalmente euclideo (lo stesso idioma scientifico scelto da Newton, che pure aveva già scoperto il calcolo infinitesimale, per i suoi Principia).
Nel 1686, mentre stavano per uscire i Principia newtoniani, Halley pubblicò la seconda parte del resoconto della sua spedizione scientifica a Sant’Elena, ossia un trattato ed una carta, su alisei e monsoni. Identificò, inoltre, nel riscaldamento solare la causa dei movimenti atmosferici e stabilì la relazione matematico-sperimentale fra pressione barometrica – già studiata da Torricelli, Viviani, Pascal e Schott – ed altezza sul livello del mare. Ricerche sul campo continuate e completate poi dal nostro Marsili, fellow della Royal Society, sul Bosforo.
Nel 1691 Halley perse il posto di professore savilliano ad Oxford a causa delle sue eterodosse opinioni religiose avversate tanto dall'arcivescovo di Canterbury, John Tillotson, quanto dal vescovo Stillingfleet. L’anno dopo, sulle Philosophical Transactions, vide la luce la sua ipotesi che la Terra fosse formata da un guscio esterno, spesso ottocento chilometri, insieme con altri due gusci interni, concentrici, e un nocciolo interno. Questi gusci avrebbero avuto le dimensioni dei pianeti Mercurio, Marte e Venere, tra loro separati atmosfericamente e sotto il profilo della luminosità. Un omaggio – pertanto – al mito della Terra Cava (sviluppato poi da Eulero tra Russia e Prussia), accompagnato da disquisizioni sull’aurora boreale. Nell’occasione, Halley propose idee per cercare di spiegare alcuni risultati anomali ottenuti attraverso la bussola, in particolare talune variazioni dell’ago magnetico in apparenza incontrollabili e prive di logica.
Nel 1693, con una memoria pubblicata a Breslavia, fu l’autore di uno dei primi saggi moderni di demografia storica, un altro dei suoi molteplici interessi. Il 24 maggio del 1698 ricevette poi dalla Royal Navy la nomina a capitano della His Majesty’s Ship, con la quale condusse varie esplorazioni geografiche nell’Atlantico, per oltre due anni. I risultati di quella missione scientifica vennero editi, nel 1701, sulla carta generale delle declinazioni magnetiche, la prima a comprendere le isocline. Nel novembre 1703, finalmente, Halley riottenne l’insegnamento savilliano ad Oxford, dove, sette anni più tardi, avrebbe ricevuto pure la laurea honoris causa in legge. Nel 1705 pubblicò la sua maggiore dissertazione di storia dell’astronomia, la Synopsis Astronomia Cometicae, nella quale egli espose il suo convincimento che gli avvistamenti cometari del 1456, 1531, 1607 e del 1682 fossero da riferire alla medesima cometa, predicendone, in base a calcoli matematico-astronomici, il ritorno per l’anno 1758. Quando la cosa, in effetti, accadde divenne nota come la cometa di Halley, famosissima anche presso il pubblico non specialistico, tutt’oggi.
L’interesse di Halley per la storia della scienza greca e le sue competenze filologiche fecero di lui anche un editore di testi antichi. Nel 1706 curò infatti l'edizione a stampa del trattato De sectione rationis dell’algebrista Apollonio di Perga, collazionando manoscritti conservati presso l’Università di Leida e la Bodleian Library oxfordiana, cui aggiunse una sua ricostruzione dell’opera perduta De sectione spatii (tra la fine della anni Cinquanta ed i primissimi Sessanta del secolo precedente, già il galileiano Viviani si era, anche lui, a lungo impegnato, nella Firenze medicea, nella divinatio del V Libro delle Coniche di Apollonio). All’opera del matematico ellenistico, conservatasi solamente in traduzione araba, Halley aggiunse anche una sua De sectione cylindri et coni, di Sereno di Antinoe, pubblicando – nel 1710 – un’edizione latina completa della propria ricostruzione del Libro VIII del perduto originale greco di Apollonio. La traduzione, altra opera di Halley, dall’arabo in latino, degli Sphaerica dell’astronomo alessandrino Menelao sarebbe invece apparsa solo postuma nel 1758, per le cure della Royal Society.
Nel 1715, Halley disegnò una circostanziata mappa del cammino dell'eclisse solare che il 3 di maggio di quell'anno si vide nei cieli inglesi. Tre anni dopo, scoprì il moto proprio delle fixae, per mezzo di tecniche astrometriche ricavate anche dall'Almagesto di Tolomeo – le cui carte, nel '700, si continuavano ad usare, malgrado non si credesse più nel suo universo geocentrico – con studi molto significativi su Arturo e Sirio, gli stessi che avrebbero poi spinto il giovane Lagrange ad interessarsi di astronomia matematica. Nel 1720, infine, Halley partecipò in compagnia dell'amico newtoniano e antiquario William Stukeley alla prima ricerca scientifica su Stonehenge. Nacque quel giorno, forse, l’archeoastronomia. Di Halley fanno data nella storia dell’astronomia di marca newtoniana anche le ricerche sulle magnitudini stellari e un primo elenco sistematico di nebulose, battistrada per gli studi settecenteschi sulla galassia siderale portati avanti sempre nel Regno Unito da Herschel. In quello stesso periodo, andarono infittendosi i carteggi halleyani con i principali membri della Repubblica delle Lettere tardo-barocca e pre-illuminista: commerci epistolari che – nel caso suo e di Newton – sono ancora oggi di basilare importanza storica.
La corrispondenza newtoniana è ricchissima di notizie ed informazioni – tanto dirette, quanto indirette – su Halley, la gravitazione universale, la fabbricazione di cannoni per la marina inglese e i logaritmi di Mercatore. Temi di cui Newton discusse, inoltre, con il matematico John Collins e con l’astronomo David Gregory. Abbiamo lettere di Flamsteed a Collins (allora in rapporti con Cassini, Oldenburg, Hooke, Aston ed Huygens), risalenti al biennio 1671-1672, in cui si discute di industria vetraria, osservazioni di Marte e Giove, luce e colori, rifrazione, telescopi newtoniani, lenti focali, specchi, calore dei fluidi e fortificazioni militari. Le iniziative di Newton, Flamsteed e Collins, poi, erano tenute monitorate dall’Osservatorio di Saint-Andrews in Scozia, fortemente legato a quello di Greenwich ed alla Royal Society di Londra: una collaborazione scientifica fondamentale, riguardo a tematiche di comune e vivo interesse. Collins, fra le altre cose, era il principale agente librario dello stesso Newton – al quale procurava testi matematici, fisici, astronomici, alchemici e teologici – sul continente europeo.
Molto importante è anche il carteggio scientifico di Halley, con Newton e Wallis, nel periodo 1686-1687, ossia al momento della stampa londinese dei Principia mathematica dedicati a Giacomo II. Gli argomenti trattati in queste lettere riguardano l’etere, la resistenza dell’aria ai proiettili, vari strumenti d’osservazione astronomica, le comete (quella di Tycho Brahe del 1577 e quelle del 1665, 1680 e 1681), la trasmissione lineare delle coordinate celesti, il moto diurno della Terra (studiato da Galileo, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), la attrazione gravitazionale e la legge dell’inverso del quadrato, i movimenti planetari, la dottrina delle maree di Keplero, la misurazione dell’orbita di Giove, la determinazione della longitudine in alto mare, la teoria lunare, le statistiche sulla lunghezza media della vita nell’Inghilterra tardo-seicentesca, il lavoro di Newton alla Zecca di Stato per conto di Re Guglielmo III, gli esperimenti sul pendolo (seguendo quelli inaugurati a inizio Seicento da Baliani e Galileo), l’apologetica newtoniana, i satelliti di Saturno, la parallasse solare, i cataloghi stellari di Flamsteed (l’astronomo reale, presso l’Osservatorio di Greenwich, dal 1675), le tavole dei movimenti planetari, il magnetismo terrestre (il primo studio, al riguardo, era stato quello del medico elisabettiano William Gilbert, a Londra, nel 1600) ed il transito di Venere. Altre notizie concernono il viaggio scientifico di Halley a Parigi, per incontrarvi Cassini e ragguagliare la Royal Society sulle vedute degli astronomi francesi, le ricerche allora in corso a opera di Hevelius, Hooke, Huygens e Wallis, l’epistolario di Giacomo II prima della seconda Rivoluzione inglese (1688-1689) e il lavoro tecnico-nautico presso l’ammiragliato del funzionario e diarista Samuel Pepys: materiale ancora oggi tutto da approfondire ed a cui gli storici della scienza dovrebbero tornare a rivolgere la propria attenzione e cura. Centrale in proposito è il triangolo Newton-Halley-Flamsteed, vale a dire rispettivamente Cambridge-Londra-Greenwich: il vero fulcro della ricerca astronomica britannica e europea nel Sei-Settecento, tra crisi della coscienza europea e albori dei Lumi (che nascono proprio in Inghilterra grazie alla nuova scienza e non nella Francia cartesiana, come erroneamente i manuali continuano a ripetere).
Altrettanto rilevanti sono le lettere di Flamsteed a Newton che coprono gli anni 1681-1686. In esse, si parla degli scritti di Aubrey, Huygens, Hooke, Halley, Cotes, James Gregory e dell’elvetico Fatio de Duillier, di lì a breve stretto collaboratore e apologeta della fisica matematica newtoniana e dell’astronomia gravitazionale. I temi affrontati in questo carteggio sono inerenti ad osservazioni di comete, moti dei corpi celesti, strumenti ed osservazioni astronomiche, parallasse annua, moto della Terra, congiunzione di Saturno e Giove, mappe stellari, tavole astronomiche, legge dell’inverso del quadrato, colori, velocità della luce, eclissi lunari, fenomeni magnetici e selenografia, quadranti a muro ticonici (appositamente rispolverati), diametro dei pianeti e loro moti, esperimenti sui prismi, precessione degli equinozi, effemeridi kepleriane, sestanti, cataloghi stellari, attrazione, telescopi a rifrazione galileiani, calore, maree ed oceanografia, osservazioni di Venere, luce zodiacale, filosofia cartesiana dei vortici, vetri per lenti, Diluvio biblico, geometria e meccanica dei fluidi leibniziane, propagazione delle onde luminose (quelle descritte nella Physico-mathesis de lumine, coloribus et iride dal gesuita italiano Francesco Maria Grimaldi), chimica-alchimia di Boyle, flussuoni e calcolo infinitesimale, parallelogrammo delle forze (riprendendo qui la statica di Stevino e Galileo), nonché memorie di astronomia e di fisica celeste pubblicate in quegli anni sulle Philosophical Transactions della Society. Insomma, un carteggio nel quale si riflettono tutti o quasi i temi di grande rilevanza e stretta attualità nei dibattiti scientifici – non solamente inglesi, ma europei – del secondo Seicento e del primo Settecento illuministico: la grande stagione dei viaggi italiani oltre Manica, prima e vera incarnazione storica dell’anglomania continentale.
Nel gennaio 1713 giunse in Inghilterra, a Oxford e a Londra, il veronese Francesco Bianchini, dotto e filosofo naturale, che avrebbe avuto un ruolo chiave nella penetrazione e nell’accettazione in Italia della nuova scienza newtoniana. Bianchini incontrò, nell'occasione, Halley, Flamsteed e infine Newton stesso. Nel suo diario di viaggio manoscritto l’Iter in Britanniam, l’erudito e meccanicista veneto ricorda che era stata la regina Anna Stuart, solo l’anno prima, a commissionare ad Halley di rivedere e di riordinare i materiali astronomici raccolti da Flamsteed, per presiederne alla stampa, anche se l’astronomo reale di Greenwich non reputava ancora concluso in proprio lavoro. Era infatti nata pure in questo modo la Historia coelestis libri duo, pubblicata a Londra in folio, nel 1712. Essa comprendeva tutte le osservazioni astronomiche fatte da Flamsteed, all’Osservatorio di Greenwich, per conto di Newton e sino al 1705, ed una parte del suo celebre catalogo di astri. Bianchini sa bene che Flamsteed non aveva mai approvato la stampa di quell’opera. Il suo atlante celeste, finalmente completo, sarebbe apparso a Londra solamente nel 1729, ormai postumo, a cura di Abraham Sharp e Joseph Crosthwait, due grandi tra i minori dell’astronomia britannica nel XVIII secolo.
Durante il colloquio londinese con Newton, il presidente della Royal Society disse esplicito a Bianchini che Halley, il quale, nel 1684, già lo aveva convinto a trasformare il De systemate mundi manoscritto nei Principia, aveva lui solo saputo stabilire la legge scientifica che governa il sistema delle comete, con un grado di precisione matematica pressoché introvabile nelle tavole planetarie e negli atlanti stellari di allora, corrispondente a due minuti primi di longitudine, in relazione al corpo cometario visibile dalla Terra durante il biennio 1680-1681: uno dei grandi argomenti, se non forse il maggiore in assoluto, del carteggio di Halley stesso proprio con Newton.
Malgrado gli scontri avuti in passato Newton continuava a stimare Flamsteed per i suoi meriti scientifici. A Bianchini, infatti, fece dono di quattro copie del libro di osservazioni astronomiche di Flamsteed, che sarebbe stata cura del religioso italiano portare in Italia e redistribuire, tra i maggiori matematici della penisola (Eustachio Manfredi a Bologna, Guido Grandi a Pisa, Celestino Galiani a Napoli e Domenico Quartieroni a Roma). La Historia Coelestis Britannica era il catalogo riportante la corretta posizione delle stelle fisse nella volta celeste più aggiornato che mai fosse stato redatto, sino a quel momento, basato soltanto sulle osservazioni effettuate da Flamsteed, presso la specola di Greenwich, di cui era allora come detto il direttore.
Il 30 gennaio 1713, a Greenwich, Bianchini ebbe grazie a Flamsteed l’occasione di visionare ed utilizzare la strumentazione tecnica, registrando il passaggio del Sole sul meridiano. Poté inoltre conversare con l’astronomo inglese, circa e il censimento e la rappresentazione delle costellazioni operata dall’epoca di Tycho Brahe in Danimarca fino a quella di Hevelius in Polonia.
A Flamsteed, invece, Bianchini donò la Solutio problematis paschalis, vasto trattato di calcoli astronomici per la riforma del Calendario Gregoriano (1701-1703) e per il calcolo della Pasqua, in occasione del loro secondo incontro, tenutosi presso il Cafè de Gerves, a Londra, il 3 febbraio 1713, oltre alle tavole del Globo farnesiano. Solo a partire dagli anni Venti del Settecento – si sa – la Gran Bretagna avrebbe messo da parte il calendario giuliano, ed accettato la nuova riforma calendariale, attuata da Clavio e Danti alla fine del XVI secolo nella Roma cattolica degli astronomi e matematici gesuiti.


Nell'immagine, ritratto settecentesco di Edmond Halley.


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Documento inserito il: 31/10/2023
  • TAG: Settecento britannico, nuova scienza, storia della astronomia, newtonianesimo, storia della scienza e della tecnica, sperimentalismo, Illuminismo inglese, storia moderna

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