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Napoleone in Russia: duecento anni dopo [ di Carlo Montani ]

A due secoli dall’infausta spedizione napoleonica in Russia che ebbe i suoi momenti essenziali nella “conquista” e nell’incendio di Mosca, e poco dopo nella disastrosa ritirata che si concluse con il sacrificio quasi totale della Grande Armata, culminato col tragico passaggio della Beresina (novembre 1812), non è fuori luogo ricordare l’apporto italiano a quella drammatica epopea, che ebbe un cronista attento e versatile in Cesare De Laugier, un ufficiale toscano di origine francese (era nativo di Portoferraio) inquadrato nell’esercito imperiale, la cui cronaca fu oggetto, alcuni decenni orsono, di un “reprint” dato alle stampe insieme all’opera di Giulio Bedeschi, in una sorta di struggente confronto con l’analoga tragedia del Corpo di spedizione alpino durante l’ultimo conflitto mondiale.

In entrambe le occasioni, i combattenti italiani si comportarono con grandissimo valore, pur dovendo soccombere davanti alla forza di un nemico invincibile: il Generale Inverno.

A proposito del De Laugier, è da porre in evidenza che ebbe un ruolo di non effimera importanza nella storia d’Italia, oggi ingiustamente dimenticato. Dopo la campagna di Russia, ed esperienze nel moderato Governo granducale di Firenze, fu protagonista non secondario del Risorgimento e si distinse sul campo di battaglia di Curtatone (dove è tuttora ricordato in una lapide) tanto da meritare un cavalleresco riconoscimento del suo valore da parte dello stesso Maresciallo Radetzki. Poi, fu tra gli strenui difensori di Venezia contro le soverchianti forze austriache: caso significativo di quella maturazione delle coscienze in senso nazionale che nella fattispecie ebbe lontana origine nell’impegno, non soltanto militare, al servizio di Napoleone.

Nell’esercito, per l’epoca immenso, che venne immolato al disegno bonapartista di instaurare un nuovo ordine europeo se non addirittura mondiale, paragonabile a quello allucinante del Terzo Reich, erano rappresentate tutte le nazionalità dei territori conquistati durante il “volo dell’Aquila”. Non potevano mancarvi le forze provenienti dai vari Stati italiani che salvo eccezioni erano entrati a far parte della vasta galassia imperiale: ciò, con particolare riguardo a quelle meridionali guidate da Gioacchino Murat ed ai contingenti in armi del comprensorio nord-orientale che vennero coinvolti nella breve ma fertile esperienza del Regno Italico.

A questo riguardo, conviene rammentare che i giuliani, istriani e dalmati Caduti al servizio di Napoleone furono circa un migliaio, e che con il loro sacrificio diedero un contributo importante all’acquisizione di una matura idea di nazionalità i cui effetti si sarebbero fatti sentire a lungo termine e le cui avvisaglie si erano già avvertite durante la seconda metà del secolo precedente nel pensiero e nell’opera di un grande patriota come Gian Rinaldo Carli.

Bonaparte aveva firmato nel 1797 l’atto di morte della Serenissima Repubblica di Venezia dopo un millennio di storia gloriosamente unica ed aveva modificato in modo irreversibile gli assetti del mondo adriatico, ma nello stesso tempo aveva diffuso i nuovi principi con una straordinaria accelerazione, destinata a promuovere i primi germogli del Risorgimento fin dai tempi della Restaurazione ed in quelli ben più coinvolgenti del 1848-49, quando la città di San Marco avrebbe vissuto in chiave nazionale una grande esperienza di riscatto, con il contributo, fra i tanti, di illustri dalmati come Nicolò Tommaseo e Federico Seismit Doda (il futuro Ministro delle Finanze del Governo Crispi, dimissionato in tempo reale dal sanguigno Presidente del Consiglio perché in una stagione rigidamente triplicista avrebbe osato raccogliere il grido di dolore proveniente dalle terre irredente).

A duecento anni dalla campagna di Russia non è fuori luogo ricordare la dolorosa anabasi di Napoleone e della sua Grande Armata, che aveva avuto un precedente non meno tragico nella campagna di Carlo XII di Svezia ed avrebbe avuto un seguito altrettanto drammatico in quella dell’Asse durante il secondo conflitto mondiale, a dimostrazione del fatto che la storia non è “maestra di vita” perché altrimenti non si continuerebbe a commettere gli errori del passato: come ha sottolineato con fine umorismo un importante politologo quale Giovanni Sartori “l’unica esperienza che dà l’esperienza è che l’esperienza non dà alcuna esperienza”.

E’ un ricordo certamente doveroso, non solo in funzione della pur significativa ricorrenza bi-centenaria, con particolare riguardo a quello degli Italiani che parteciparono alla vicenda napoleonica e ne trassero spunti di rapida maturazione delle coscienze e di integrazione in chiave politica dei principi e dei valori nazionali già ampiamente diffusi sul piano spirituale e culturale: in tutta sintesi, impegnandosi a creare i fondamenti dell’unità e con essi, la percezione di un nuovo ethos, quello dello Stato.
Documento inserito il: 24/12/2014
  • TAG: napoleone bonaparte, campagna russia, grande armata, beresina, generale inverno,

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