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Il culto della bandiera [ di Osvaldo Grossi ]

I Confederati, gli uomini delle comunità alpine svizzere che avevano stretto un patto di mutua alleanza e aiuto, onoravano le loro bandiere, i loro stendardi, come degli oggetti sacri e prima della partenza per la guerra, con una cerimonia solenne erano benedetti.
Dopo il comandante, l’alfiere era il simbolo di una fiera appartenenza, l’incaricato di custodire e portare lo stendardo in battaglia. L’ alfiere, una parola derivante dall'arabo "al-faris": cavaliere, in spagnolo: "alfarez", è un grado di milizia: “..chi porta la bandiera.”
Si elevò quindi da semplice militare cui veniva affidato il compito di portatore di bandiera, a figura carismatica di sempre maggiore prestigio. All’alfiere si richiedevano capacita speciali, oltre che una particolare destrezza nell'uso delle armi, notevoli doti di potenza fisica, d'astuzia e soprattutto coraggio. In caso di particolari situazioni, a questa figura che capeggiava sempre i reparti armati, piccoli e grandi, si richiedeva soprattutto la determinazione di non lasciare mai in mani nemiche il "segno” il simbolo della nazione e del reparto.

Era scelto quindi tra gli uomini più integri, i più possenti e rappresentativi dello stato e sostenuto da una numerosa guardia a protezione, uomini valenti e sperimentati. Questa guardia doveva giurare…”di vegliare sulla bandiera, se l’alfiere cadeva, di riprenderla e d’elevarla ben in alto o di tenderla a un altro e di non mai abbandonarla, né di giorno, né di notte, fino alla morte….”

Perdere la propria bandiera in combattimento era il più grande disonore per una truppa, un dolore e un malessere nazionale. Per un salvatore della bandiera era un grande onore, strapparla ad un nemico l’ardente desiderio di tutti i bravi soldati. Dare la propria vita per la bandiera era una cosa tanto naturale che ogni bambino lo sapesse fino dalla tenera età.

In ordine di battaglia, le bandiere e gli stendardi marciavano al centro dei quadrati della potente fanteria svizzera che dominava su tutti i campi di battaglia d’Europa. I colori di Berna inizialmente, erano seguiti da quelli di 48 città e per limitarne la presenza i confederati decisero che solo i colori dei Cantoni e degli alleati andavano in battaglia.
Con i Confederati inizia così un’epoca in cui le bandiere svizzere dominano su tutti i campi di battaglia.

Alla battaglia di Shosshalde nel 1289, lo stendardo di Berna, perduto; è ripreso e salvato dal Conte Walo di Gruyeres, che lo riporta a Berna, ancora tinto di sangue.
A Donnerbühl nell’anno 1298 i bernesi conquistano 12 bandiere al nemico.
A Laupen nel 1339, i 14 membri della famiglia Fülistorff periscono tutti attorno allo stendardo di Friburgo attaccato dal nemico.
A Tätwil nel 1354 lo zurighese Roger Manesse prende sette bandiere agli Austriaci.
A Sempach nel 1386 Nicolas Thut, per salvare la bandiera, la nasconde sul suo corpo ed è ritrovata tra i cadaveri. Nella medesima battaglia un soldato di Gersau si impadronisce della bandiera dei potenti duchi di Hohenzollern.
A Arbedo, nel 1422, lo stendardo di Uri è strappato dalle mani di Henry de Brunberg che muore da prode, i confederati si raggruppano preso di lui e lo stendardo è salvato. Jean Rot, landamano, muore anch’esso.
Peter Kolin, magistrato e alfiere di Zugo cade trafitto da innumerevoli colpi. Uno dei suoi figli estrae la bandiera da sotto il cadavere del padre, intrisa di sangue, la mette al vento ed è ucciso pure lui. Jeckli Landtwing, suo amico, lo segue, gli toglie la bandiera ancora trattenuta con mano morente e la fa nuovamente sventolare fra i confederati.
A Grandson il signore del Castello Guyon, capo della cavalleria di Carlo Il Temerario, carica gli svizzeri con 6000 cavalli. Due volte si impadronisce della bandiera di Svitto, fino a quando Henry Helser di Lucerna, gli strappa la sua e Jean Inder Grueb di Berna gli da il colpo mortale.
A Morat il conte di Thierstein alla testa dei cavalieri svizzeri, si prende lo stendardo del duca di Sommerset, capo degli ausiliari Inglesi di Carlo Il Temerario. Alla battaglia di Novara il soldato solettese Bernard Gerwer s’impadronisce della bandiera del duca di Francia.

A Marignano, nella famosa ritirata del 1515 gli eroismi per la difesa della bandiera dimostrano la ferocia della battaglia.
Nel momento critico gli ufficiali confederati si sforzano di impedire la rotta e il mantenimento della disciplina. I ranghi si riformano, l’armata, come una fortezza vivente, si rinserra attorno alle bandiere confederate e ai cannoni, carica i feriti sulle spalle, poi fieramente, come un leone ferito, comincia la dolorosa ritirata.

In questa ora suprema gli Svizzeri furono più grandi e più belli che nella vittoria, essi lasciano il campo di battaglia con i cannoni, gli stendardi e i cavalli conquistati, con il loro onore intatto e una vecchia gloria che non vi sarà più.
In direzione di Milano altri combattimenti li attendono. Una palla di cannone trancia le gambe all’alfiere Jean Bär di Basilea. Trova ancora la forza di tendere la bandiera ai camerati.
Maurice Gerber, alfiere di Appenzello, si accascia mortalmente ferito e nasconde la bandiera sul suo corpo prima di spirare. I nemici avevano già tolto la bandiera di Unterwald dalle mani del morente Nicolas de Warz, quando il cappellano Lindenfels si slancia e la riprende, dopo aver disarcionato diversi cavalieri.
I colori di Zurigo sono salvi ma tre alfieri muoiono da eroi, Jacob Miess, Jacques Schwend e il cavaliere Von Escher. Cadono anche Jean de Balilla e Pierre de Frisching, capitano dei volontari bernesi.
In questo furibondo combattimento Rodolphe de Salis, soprannominato il grande, dotato di una forza sopranaturale, vende cara la sua vita e si accascia crivellato di ferite. Suo fratello Dietigen ne vendica la morte abbattendo ai suoi piedi diciassette nemici. Arrivano a Milano alla sera, compatti, coperti di polvere, stremati, sofferenti e superbi con le bandiere sanguinanti e 14 stendardi presi al nemico.
Alla battaglia di Lepanto nel 1572 il lucernese Hans Voelli al servizio di Giovanni d’Austria si impossessa di due bandiere turche. (Museo di Lucerna)
Nel 1709 alla battaglia di Malpaquet, il reggimento bernese di Stürler, conquista sette bandiere al nemico, ma è ridotto a tre ufficiali e cinquanta uomini validi.
Alle Tuillerie il 10 agosto 1792 un distaccamento di trenta uomini comandato dall’alfiere Georges de Montmollin di 19 anni resiste a tre cariche dei rivoltosi. Montmullin porta l’insegna del terzo reggimento delle guardie svizzere del re.
Ferito gravemente, passa la bandiera a un caporale che è abbattuto immediatamente. Montmoulin si avvolge morente nella bandiera.
Alla battaglia di Polotz durante la ritirata di Russia della Grande Armata, ottobre 1812 la bandiera del 2. reggimento svizzero cade sul cadavere del capitano Leonard Mueller, è ripresa dal Capitano Bürgos che la passa al tenente Monney. A Polotz il 1. e 2. reggimento svizzero perde 52 ufficiali e 1100 soldati. Il tenente Monney salva la bandiera passando a nuoto il fiume Polota. Il tenente Legler raccoglie quella del Primo Reggimento la cui scorta stata tutta uccisa. Monney e Legler riceveranno la Légion d’Honneur.
Al passaggio della Beresina il 26 e 28 novembre 1812 durante due giorni di furiosi combattimenti contro le truppe russe, i quattro reggimenti svizzeri si sacrificano per la salvezza della grande armata. Il 28 novembre, non restano che 50-60 uomini per reggimento, ma questi ultimi riportano in Francia le loro quattro bandiere.
La bandiera del 1. reggimento è salvata dal sergente Kaa, quella del 2. dal Capitano Rusca e del tenente Andrighetti, quella del 4. dal capitano Christen. Del 4.dal capitano Christen.

Un elenco assai lungo che dovrebbe farci meditare, una tradizione di valore trasmessa fino alla nostra epoca travagliata dallo scetticismo, ma in cui le bandiere speriamo restano e saranno sempre l’immagine della patria.


Opere consultate

Muller: Histoire de la Confederation Suisse
M.de Romainmotier: Histoire militare des Suisse
De Vailliere: Histoire du Drapeaus suisse.

Si ringrazia Osvaldo Grossi, presidente dell'Associazione FOR TI Opere Fortificate del Cantone Ticino e Presidente del Museo di Storia Militare Forte Mondascia, per l'invio ed il permesso alla pubblicazione di questo articolo.
Documento inserito il: 24/12/2014

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