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Robert Hooke e la scienza sperimentale della Royal Society nell’Inghilterra del XVII secolo

di Davide Arecco


Il Leonardo inglese del Seicento tra Oxford e Londra

Tra i personaggi più importanti della nuova scienza seicentesca, figura chiave rimasta troppo a lungo in ombra, vi è Robert Hooke (1635-1703), che fu enciclopedico cultore di fisica, meccanica, geografia, astronomia, biologia, architettura e geologia. Nato sull’Isola di Wight, da famiglia di fede realista ed anglicana, nel 1648 si trasferì a Londra, apprendista del pittore Peter Lely, ed iscritto alla Westminster School. Qui, ebbe per maestro Richard Busby, che gli insegnò latino, greco, geometria (gli Elementi di Euclide), e musica, ispirandogli l’interesse per l’osservazione scientifica e le opere meccaniche. Dal 1653, Hooke frequentò il Christ Church dell’Università di Oxford, assistente nelle ricerche chimiche di Thomas Willis (dal 1655) e soprattutto di Robert Boyle (dal 1657), per il quale costruì, materialmente, la macchina pneumatica basandosi sul modello realizzato da Von Guericke e Schott. La pompa ad aria fu impiegata, da Hooke e Boyle, negli esperimenti sulle leggi dei gas, sino al 1660 almeno. Una copia sopravvissuta del De anima brutorum di Willis fu scelta da Hooke, nella biblioteca privata di Wilkins, alla sua morte, come ricordo, su invito di John Tillotson. Questo libro è, ora, alla Wellcome Library. Il libro e l’annotazione manoscritta di Hooke sono una testimonianza dell’influenza duratura, e di Wilkins e della sua cerchia, sul giovane Hooke. A Oxford, quest’ultimo entrò poi in rapporti d’amicizia con l’architetto e matematico Christopher Wren (massone e seguace della monarchia Stuart), oltre che con il galileiano Wilkins (il warden del Wadham College e leader dell’Oxford Philosophical Club), le due figure guida del gruppo di filosofi naturali che, di lì a breve, avrebbe costituito con il patrocinio di Re Carlo II la Royal Society londinese. A questa Hooke – che aveva conseguito, intanto, il grado di Master of Arts – fornì contributi dall’aprile 1661, debuttando, sulla scena scientifica inglese, con uno studio di idrostatica, circa la azione capillare dei liquidi: per spiegare il fenomeno, Hooke parlò e per la prima volta, in quella occasione, di fluidità della gravità, idea sviluppata in seguito dall’idrodinamica newtoniana settecentesca fra Londra e Basilea.
Il 5 novembre 1661 l’ingegnere minerario scozzese Sir Robert Moray (massone, già militare e diplomatico stuardista) fece nominare Hooke curatore degli esperimenti: una nuova figura, di natura professionale, che fece di lui il primo uomo di scienza pagato per svolgere ricerche sperimentali con il compito di preparare per ogni riunione settimanale della Royal Society dispositivi da presentare ai fellows dell’accademia per discuterne insieme. Il suo lavoro fu per anni il fulcro dell’intensa attività scientifica dell’istituzione inglese. Nel corso del 1664 Sir John Cutler promosse Hooke a Mechanick Lecturer e Curator by Office delle pratiche di laboratorio. Hooke, nella nuova veste di dimostratore sperimentale della Royal Society, introdusse metodi innovativi e influenti, stimolando discussioni in merito alla differenza tra sangue arterioso e venoso e a natura e proprietà dell’aria (Pabulum vitae et flammae). Fece vari esperimenti sul peso e la caduta degli oggetti, sulla misurazione della pressione barometrica a diverse altezze, sulla polvere da sparo e la macchina a vapore. La costruzione di essa lo portò a corrispondere con Thomas Newcomen, sui meccanismi del condensatore: storia riferita da John Robison (1739-1805) nella terza edizione della Encyclopaedia Britannica. Hooke diede grandi contributi alla storia della tecnica, sempre fiducioso verso strumenti – ne perfezionò moltissimi – ed invenzioni. Fra le sue realizzazioni tecniche ricordiamo vari apparecchi meteorologici, il barometro a ruota, l’anemometro, l’igrometro, macchine per misurare la pressione atmosferica e la temperatura del ghiaccio e strumenti per calcolare il secondo d’arco nel movimento di Sole e stelle. Hooke fu tra i fondatori della scienza della misura del tempo, fabbricando precisi orologi meccanici ed a pendolo per la determinazione della longitudine in mare. In questa impresa, egli entrò in competizione con il cartesiano olandese Huygens, anche lui costruttore di orologi meccanici a molla e bilanciere. Hooke mise a punto quest’ultimo, in realtà, con un lustro di anticipo su Huygens, che pubblicò la relazione sul suo orologio nel Journal de Scavans del febbraio 1675. Inoltre, Hooke costruì lo scappamento a àncora, già tra 1655 e 1657, incoraggiato da John Ward, e leggendo l’opera del gesuita Giambattista Riccioli sulla gravitazione e la meccanica della misura del tempo. Il ritrovato di Hooke fu oggetto di apprezzamento e di ammirazione ancora ad inizio Settecento da parte del parigino Henry Sully e del teologo britannico William Derham (anche lui formatosi a Oxford, studioso di nebulose ed ammassi stellari, primo a misurare la velocità del suono in Inghilterra, fellow della Royal Society, e curatore dell’edizione postuma di alcuni manoscritti scientifici di Hooke).
Altri strumenti – in questo caso, microscopi composti e telescopi galileiani a rifrazione – sono descritti da Hooke nella sua Micrographia (1665), il libro che fonda di fatto la biologia moderna. In esso, frutto di indagini su piante ed animali, del biennio precedente, viene usato per la prima volta il termine cellula per i tessuti vegetali, e si trovano disegni della Luna e delle Pleiadi, nonché le prime nozioni sulla cristallografia e la struttura, atomica, della materia. Per le osservazioni, confluite nella Micrographia, Hooke ricostruì il microscopio fabbricato in origine dall’ottico e inventore londinese Christopher White dotandolo di nuovi sistemi d’illuminazione. Altri strumenti, stavolta astronomici, Hooke predispose per le osservazioni celesti. Nel 1675, assieme a Flamsteed, contribuì a progettare e a equipaggiare l’Osservatorio di Greenwich. Utilizzando un cannocchiale gregoriano – quando, in Inghilterra, era ancora in uso il calendario giuliano, sostituito, solo nel 1750, per iniziativa di Lord Chesterfield – Hooke, nel 1673, scoprì la Grande e tempestosa Macchia rossa su Giove (derivando, dallo strumento, la rotazione assiale del pianeta), e misurò il periodo di rotazione di Marte. Era del resto da tempo sostenitore dell’eliocentrismo copernicano, come conferma anche l’Account to prove the Motion of the Earth by observations (1679), una esplicita affermazione galileiana del moto della Terra. In ambito astronomico, Hooke si occupò degli anelli di Saturno e misurò poi le distanze fra le stelle e il Sole, a partire dal caso di Gamma Draconis, approntando nel 1669 nuovi metodi di misura per determinare la parallasse (la stella fu la stessa che, nel 1725, portò poi James Bradley a scoprire l’aberrazione della luce). In generale, le distanze inter-stellari furono forse in astronomia il maggior campo di interesse per Hooke. Nelle pagine della Micrographia vediamo infatti descritti grappoli di stelle, crateri lunari e sistemi di stelle doppie, come Gamma Arietis, scoperta ed osservata da Hooke nel 1664. Affascinato dalla astronomia planetaria, Hooke aveva l’ambizione di misurare il cosmo, attraverso e scienze e tecniche, come attestano le sue memorie accademiche del 1677 (vale a dire, le Animadversions on the Machina Coelestis of Mister Hevelius, i Remarks about Comets ed in parte il Mechanical Improvement of Lamps). Pure alla selenografia, Hooke si consacrò con generosità e con ingegno. Ideò anche il primo ombrografo della storia: un metodo ottico per rilevare la difformità dei fenomeni luminosi visibili e no.
Fedele ai due imperativi baconiani, l’avanzamento delle scienze e lo studio scientifico della natura, Hooke incoraggiò e celebrò sia la diffusione, sia il profitto delle invenzioni, in A description of Helioscopes and some other Instruments (1676). Propose alla Royal Society nuovi metodi di tipo cartografico, utili allo Stato e alla Marina, nonché sistemi per trasmettere i messaggi a distanza. Tra squadra e compasso, quella di Hooke era la medesima scienza realista degli amici Wren e Wilkins, propagandata con ardore dalla roccaforte monarchica e stuardista del Wadham College di Oxford, la sede universitaria degli intellettuali e uomini di scienza nemici di Cromwell e dei parlamentari. Non a caso, come Morland e Wallis, anche Hooke mise la propria perizia matematica al servizio del Re, dedicandosi alla decrittazione di codici cifrati e a sistemi di crittografia. La fedeltà alla corona, il 20 marzo 1664, gli valse la cattedra di geometria al Gresham College (altra culla della Royal Society), al posto di Arthur Dacres, cui si aggiunse poi quella di fisica nel dicembre 1691. A partire dal 1677, alla morte di Oldenburg, Hooke fu inoltre il segretario della Royal Society e ebbe rapporti di stretta collaborazione con artefici e pratici, come l’orologiaio Thomas Tompion, il costruttore di strumenti Christopher Cox e l’assistente di laboratorio Harry Hunt. Di tutti loro, Hooke valorizzò e riqualificò in termini scientifico-accademici fra le mura della Royal Society e del Gresham College – a cui fece dono, prima di morire, della propria biblioteca e raccolta di strumenti di laboratorio e manoscritti – un sapere di base squisitamente tecnica e manuale, operativa ed empirica. Vero Leonardo del secolo XVII, Hooke sapeva quanto da tecniche e mestieri potesse venire alla scienza, sul piano degli spunti e degli stimoli, specie nell’ambito della meccanica e della fabbricazione di strumenti scientifici. Lui stesso costruì un nuovo tipo di sestante e altri strumenti matematici per la navigazione d’altura.
Nel 1660, Hooke scoprì la nota legge dell’elasticità lineare, da lui descritta come variazione di tensione, solo nel 1678, in forma di anagramma. Si trattava di una estensione del suo lavoro circa le bilance archimedee, da studiarsi per lui con ragionevole accuratezza. La priorità dell’invenzione gli fu ancora una volta contesa da Huygens, ma sin dal giugno 1670 la Royal Society era al corrente del lavoro di Hooke e lo supportava. Nella fisica e nell’idrostatica, Hooke radicò, in via definitiva, nella scienza anglo-britannica la lezione metodologica di Galileo. Il 6 luglio 1680, egli osservò gli schemi nodali associati alle modalità di vibrazione delle corde e delle lastre di vetro (un’industria questa, in forte proliferazione in Inghilterra da metà del Seicento, stante la richiesta di lenti per cannocchiali e tubi ottici da parte degli astronomi d’osservazione). Hooke stabilì che un corpo elastico (ad esempio una molla) subisce una deformazione direttamente proporzionale alla forza a esso applicata, in virtù di una costante elastica di proporzionalità, che dipende dalla natura del materiale stesso, nel caso di molle sollecitate, longitudinalmente, in trazione o in compressione, lungo un determinato asse. La legge venne verificata sperimentalmente da Hooke in laboratorio, tramite attrezzature relativamente semplici, e da lui formalizzata nel linguaggio della fisica matematica seicentesca. Nel dominio della acustica, nel 1681 Hooke dimostrò, alla Royal Society, che i toni musicali potevano essere generati facendo girare ingranaggi dentati di ottone fissati da giunti cardanici secondo particolari proporzioni geometriche. Alla storia della fisica del suono appartiene altresì la sua costruzione di un dispositivo acustico, la savart wheel.
Poligrafo versatile e instancabile, Hooke si occupò di ogni ramo del sapere. Negli anni passati ad Oxford con Boyle localizzò il salnitro (prima tappa verso la scoperta settecentesca dell’ossigeno) ed in anatomia studiò la fisiologia della visione, costruendo un occhio artificiale, che dotò, imitando l’iride, di un diaframma (ad ampiezza variabile). A fianco di Richard Lower, nella Oxford dei primi anni Sessanta, chiarì la funzione del polmone, nella circolazione sanguinea. Ippocratico, sostenitore insieme e della vis medicatrix naturae e delle sostanze farmaceutiche, spirito scientifico, profeta del metodo sperimentale, Hooke ispirò, altresì, le ricerche embriologiche di Leeuwenhoek (1632-1723), edite sulle Philosophical Transactions, fra il 1666 e il 1674. Inoltre, nel 1682 propose un modello di tipo scientifico-meccanico di arte della memoria, con un trattato stampato – insieme ad una serie di opere sulla natura della luce – solamente nella edizione delle Posthumous Works, apparse nel 1705, e recensite dagli Acta eruditorum di Lipsia nel 1707. Quel modello suscitò l’interesse, nella seconda metà del Settecento, di Dugald Stewart, fra i maggiori rappresentanti dell’Illuminismo scozzese. Il fine di Hooke, interessato, come Leibniz e Dalgarno, al progetto di una lingua scientifica universale, era quello di approntare in base ai nuovi metodi dei moderni una sorta di algebra mnemotecnica che avrebbe indicato ai natural philosophers i procedimenti da seguire per ricavare le leggi della natura, a partire da osservazioni elevate di grado e trasformate in esperimenti.
All’interno delle Posthumous Works, i curatori Derham e Waller (biologo traduttore dei Saggi di naturali esperienze della Accademia del Cimento e corrispondente di Vallisneri) inclusero anche il Discourse of Earthquakes, dedicato, da Hooke, ai cambiamenti avvenuti, nel corso del tempo, nei regni della natura organica e inorganica: una vera indagine geo-cronologica, sui monumenti naturali dell’antichità – condotta attraverso l’esame di terreno, monete, medaglie e iscrizioni – ricostruendo mediante i terremoti la storia del globo terracqueo, fatta, secondo Hooke, di catastrofi e mutamenti, risalendo alle origini del nostro pianeta. Sia pure senza scontrarsi con il letteralismo scritturale, nel saggio Hooke trattava, esplicitamente, delle età della Terra – anticipando i Principles of Geology di Lyell (1833) – ipotizzando l’estinzione nel passato di diverse specie, l’origine di fossili e montagne attraverso processi geologici. Hooke aveva studiato al microscopio molti fossili, per lui non scherzi di natura, ma resti di specie estinte, la cui distribuzione attuale poteva fornire indicazioni riguardo la storia climatica della Terra nel tempo. Ricorrendo anche a fonti antiche (Eratostene), Hooke fu così, nel Seicento, un pioniere della paleontologia moderna, tra i primi a ritenere che l’asse terrestre non avesse avuto sempre la stessa posizione. Al riguardo studiò e comparò il legno degli alberi di boschi e foreste, sul campo e senza perdersi in disquisizioni filosofiche, scoprendo, in vari campioni fossili, dei minerali pietrificati. Diversamente da altri world makers e flood makers – Ray e Burnet, su tutti – Hooke riesaminò in termini rigorosamente scientifici il racconto del Diluvio biblico, rileggendo in chiave non solo religiosa i disastri geologici del passato terrestre. Il suo approccio alla stratigrafia, in fondo, non era dissimile da quello di Stenone, nella Firenze medicea. Anche Hooke, studiando le strutture lignee e varie conchiglie pietrificate, introdusse il fattore tempo, nella storia della natura e della Terra, già sulle pagine della Micrographia, uno dei libri chiave della scienza barocca.


Al servizio degli Stuart: restaurare e ricostruire dopo il 1660

Dopo il great fire che distrusse, nel settembre 1666, gran parte di Londra, Hooke fu designato insieme a Wren come architetto preposto all’opera di ricostruzione della città e nominato per questo membro della commissione regia per la rinascita della rete urbana londinese. Abile e preparato, pure nella progettazione architettonica, Hooke mise in atto nuove idee ed in ogni fase della ricostruzione, progettando strumenti per il rilevamento ed inventando inediti dettagli costruttivi. Fornì, soprattutto, rilevanti contributi alla scienza delle costruzioni inaugurata da Galileo nel 1638, studiando la statica degli archi con strumenti e metodi matematici, ed introducendo, in architettura, l’uso della catenaria (una curva costituita da una catena sospesa, da cui appunto il suo nome).
Influenzato dalla architettura olandese coeva, Hooke progettò residenze private: Ragley Hall nel Warwickshire, il maniero di Ramsbury nel Wiltshire, nonché il castello di Lowther, nella contea di Cumbria, con la Chiesa di San Michele, pensata come nuova residenza della Royal Society: idea definitivamente abbandonata da Newton, durante la sua presidenza dell’accademia, nel 1710. Più di tutto, però, Hooke disegnò numerose chiese ed edifici pubblici: il Bethlem Royal Hospital (più noto come Bedlam), la Montagu House di Bloomsbury, la Chiesa di St. Mary Magdalene sul lago Willen – il più famoso parco di Milton Keynes, nel Buckinghamshire – e nel 1679 la nuova sede del Royal College of Physicians (l’istituzione che dal 1518 rilasciava, in Inghilterra, le patenti per l’esercizio della professione iatrica). Hooke lavorò poi per Wren al disegno dell’Osservatorio di Greenwich, al celebre Monumento al grande incendio e in particolare alla Cattedrale di St. Paul, che deve a Hooke la struttura della cupola, con la sezione a forma di catenaria: capolavoro di metodo costruttivo e, per molti storici dell’arte, forse il massimo frutto della collaborazione fra i due.
Hooke partecipò, anche, al disegno della biblioteca di Samuel Pepys (allora il segretario della Royal Navy), che dedicò tante pagine del suo diario al great fire e alle sue conseguenze. Nell’opera di ricostruzione di Londra, Hooke propose di ridisegnarne le strade, con viali e arterie. Uno schema, in seguito, ripreso a Liverpool, e nelle città delle colonie inglesi d’America. I suoi progetti erano di limpido rigore geometrico. Inoltre, in quanto entrambi anche astronomi, Hooke e Wren pensarono a luoghi come, nella fattispecie, il Monumento, pure come a un osservatorio in cui installare telescopi per osservare i transiti celesti, misurando, con attenzione, altezza ed estensione delle colonne. Lo si può notare nella costruzione della scala a spirale, che non ha una colonna centrale, e nella camera di osservazione, che rimane al suo posto sotto il livello del suolo.
Agli occhi e di Hooke e di Wren, pertanto, ricostruire Londra – espressione della committenza statale da parte della monarchia stuardista, restaurata sul trono, con il ritorno di Re Carlo II, patrono della Royal Society – rappresentava un’occasione imperdibile non solo per ammodernare la capitale inglese, ma anche e soprattutto per valorizzarla e reinterpretarla sotto il profilo scientifico, mettendo in atto nuove (e talora persino ardite) soluzioni, tanto architettonico-costruttive quanto matematico-astronomiche. Fare di Londra un gigantesco osservatorio celeste: era questo il loro sogno.


Una sola scienza, un solo imperatore: Newton versus Hooke

La storia di un lungo conflitto, quello tra Newton e Hooke. Personalità assai forti e sospettose, adusi a dispute scientifiche e contese accademiche (loro malgrado), i due parlavano lingue diverse e non erano fatti per capirsi. Il loro cominciò come un dialogo difficile da posizioni distanti e presto si risolse in un duro conflitto fra due monologhi. Gli ultimi anni di Hooke furono infatti contrassegnati dal disaccordo crescente con Newton – che alla fine riuscì a isolarlo, negli ambienti scientifici della Royal Society – dalla solitudine intellettuale, e dalla paura di essere dimenticato. Timori nondimeno fondati. L’anno della morte di Hooke (il 1703) fu anche quello dell’elezione di Newton a presidente della accademia londinese. Di lì a non molto, mentre l’influenza newtoniana nel contesto scientifico inglese diventava una egemonia incontrastata, il ricordo dell’antico avversario fu, sistematicamente, rimosso. Non poche delle risultanze scientifiche conseguite da Hooke vennero attribuite ad altri, la sua eredità nel campo delle scienze fisiche – gravitazione, astronomia e ottica: frutto di capacità per il duro lavoro sperimentale – messa in discussione e i suoi papers manoscritti occultati (e riscoperti solo pochi anni fa). Persino il ritratto di Hooke fu rimosso dai locali della Royal Society. Uno degli ultimi a poterlo vedere – insieme a quello di Boyle, sopravvissuto e giunto sino a noi – fu il giurista, antiquario e viaggiatore Conrad von Uffenbach, che vistò Londra, il Gresham e la Royal Society nel suo Grand Tour nord-europeo del 1710 (fu in Sassonia, Turingia, Brandeburgo e Olanda e a Londra vide descrivendola la collezione naturalistica di Hans Sloane da cui nacque il British Museum).
Diversi in tutto, Hooke e Newton. Il primo praticò una chimica che nulla doveva all’alchimia, non aveva interessi metafisici, era disinteressato al nesso scienza-fede, non si occupò di cristologia, non si abbandonò ad alcuna esaltazione del protestantesimo inglese (come tanti altri monarchici del gruppo accadmico ed universitario della Oxford stuardista poteva essere un cripto-cattolico). Severo meccanicista e profeta di investigazioni in naturalibus rigorosamente quantitative, Hooke ebbe della dinamica e della stessa gravitazione una immagine molto diversa da quella newtoniana. I risultati di Hooke furono uno – non l’unico, comunque – dei motivi di dissidio con Newton. Quest’ultimo restò sempre un corpuscolarista, mentre Hooke fu tra i padri fondatori dell’ottica ondulatoria, a cui giunse attraverso studi sperimentali condotti sui fenomeni di diffrazione (chiamata da Hooke inflexion) e di interferenza luminosa (i cosiddetti anelli di Newton). Appartiene ad Hooke la prima ipotesi, di cui si abbia documentazione, della teoria della materia di calore (visto come energia) in espansione e della composizione dell’aria, in piccole particelle, molto distanti, l’una dall’altra. In fisica celeste, Hooke andò vicino alla conferma sperimentale che la gravità rispetta la legge dell'inverso del quadrato. Per primo ipotizzò tale relazione anche nel movimento planetario, un principio promosso e formalizzato poi da Newton con la legge di gravitazione universale. La priorità in merito contribuì alla rivalità tra Hooke e Newton, che certamente si adoperò per sminuire (se non cancellare) l’eredità scientifica di Hooke, in Inghilterra ed entro la Royal Society, ma fu solo la punta di un iceberg, il punto di arrivo di un contrasto iniziato in verità tanto tempo prima.
Mentre molti suoi contemporanei ancora disquisivano sull’etere come mezzo per trasmettere e l’attrazione e la repulsione fra corpi celesti separati, Hooke si accostò al principio della gravitazione già nella Micrographia del 1665. La sua comunicazione alla Royal Society dell’anno dopo aggiunse ulteriori principi al discorso su corpi in movimento e forze attrattive. Hooke scrisse, nell’occasione, di volere «explain a system of the world very different from any yet received. It is founded on the following positions. I. That all the heavenly bodies have not only a gravitation of their parts to their own proper centre, but that they also mutually attract each other within their spheres of action. II. That all bodies having a simple motion, will continue to move in a straight line, unless continually deflected from it by some extraneous force, causing them to describe a circle, an ellipse, or some other curve. III. That this attraction is so much the greater as the bodies are nearer. As to the proportion in which those forces diminish by an increase of distance, I own I have not discovered it».
Nel 1670, in una sua lezione al Gresham College, Hooke propose di spiegare il movimento di pianeti e comete con una nuova meccanica basata su tre ipotesi: che tutti i corpi celesti si attraggono fra loro, che i corpi si muovono di moto rettilineo uniforme se non deviati da forze e che le forze di attrazione decrescono, con la distanza, in base ad una legge matematica – quella del quadrato della distanza – su cui lavorò sino al 1681, intuendo, senza dimostrarlo, che da essa potessero derivarsi le tre leggi di Keplero: il passo decisivo, si sa, compiuto soltanto da Newton, nei Principia (1687). Nel 1674, Hooke sviluppò le sue idee nel System of the World, che postulava con chiarezza le attrazioni reciproche fra Sole e pianeti, senza tuttavia fare cenno alla legge dell’inverso del quadrato. Detto in altre parole, la gravitazione di Hooke – che a differenza di Newton ammetteva il ricorso alle ipotesi, sia pure senza cedere ai romanzi filosofici dei cartesiani – non era ancora universale. Nel novembre 1679, coinvolgendo la Royal Society e usandone la corrispondenza, Hooke cominciò il suo scambio epistolare con Newton, intenzionato a dimostrare che quella gravitazionale era scoperta e conquista collettiva della scienza inglese ed in parte europea. Nelle lettere a Newton, Hooke citò infatti studi e ricerche di vari membri della comunità scientifica londinese e internazionale, capaci ognuno di dare il proprio contributo alla causa della nuova meccanica, terrestre e celeste, che peraltro solo Newton avrebbe unificato tramite esperimenti sistematici e il fondamentale aiuto di Halley nel 1684.
Il carteggio fra Hooke e Newton toccava diverse questioni – tra cui, la composizione dei moti celesti dei pianeti, sommando un movimento diretto per la tangente e uno attrattivo, in direzione del corpo centrale – e riguardava in specie l’astronomia planetaria, che in Inghilterra era copernicana ed eliocentrica da vari decenni. Hooke e Newton si confrontarono su argomenti scientifici non soltanto nazionali, ma che interessavano a Parigi e Londra, Cambridge e Oxford. Hooke segnalò i più recenti apporti francesi a Newton, che restava concentrato sui corpi in caduta, che per lui potevano rivelare sperimentalmente il moto della Terra, attraverso la sua direzione di deviazione dalla verticale, anche in modo continuato se il globo solido non si fosse trovato in mezzo (su un percorso a spirale verso il centro): assunto non condiviso da Hooke, che il 6 gennaio 1680 comunicò per lettera a Newton che «the Attraction always is in a duplicate proportion to the Distance from the Center Reciprocall, and Consequently that the Velocity will be in a subduplicate proportion to the Attraction and [...] as Kepler Supposes Reciprocall to the Distance». Fermamente ostile alle speculazioni, Hooke replicò alle considerazioni newtoniane sopra le cause del moto di un corpo pesante con e senza la resistenza dell’aria, rappresentando quest’ultima in forma ellittica, diretta verso il centro della Terra, mediante le linee d’un diagramma manoscritto, con curve chiuse e a spirale, per fortuna conservatosi.
I taccuini di Newton del 1686 confluirono, nel breve volgere di soli pochi mesi, nei Principia, il libro scientifico del secolo, subito presentato alla Royal Society. Hooke rivendicò a sé di aver dato a Newton la regola della diminuzione della gravità, in mutuo rapporto con i quadrati delle distranze dal centro, contestandogli la paternità nella dimostrazione delle curve così generate. A quel punto, la guerra fra i due fu totale, e a vincerla fu come noto Newton, che sottrasse a Hooke la Royal Society, trasformandola pian piano nel suo feudo personale. Storia nota, in cui emersero pure i loro caratteri: entrambi erano infatti malinconici e inclini alla sfiducia, gelosi e vanitosi, cinici e irritabili, difficili e poco portati alla comprensione reciproca. Indubbiamente, quando Hooke asseriva che la «inverse proportion between gravity and the square of distance was rather common and had been advanced by a number of different people for different reasons» fosse una conquista a cui la scienza inglese si era dedicata dagli anni Sessanta, diceva il vero. In fondo Newton stesso aveva dimostrato, nel 1660, che per il moto planetario sotto un presupposto circolare, la forza nella direzione radiale avesse una relazione inversa con il quadrato della distanza dal centro. Newton, di fronte nel maggio del 1686 a Hooke, riguardo la legge dell’inverso del quadrato, negò che questi potesse venire accreditato come suo scopritore, accentuando lo spessore scientifico dei propri sviluppi: dimostrazioni matematiche e osservazioni accurate, prove sperimentali e calcoli geometrici. Peraltro, in tutte le prime tre edizioni a stampa dei Principia (1687, 1713 e 1726), e nella loro traduzione inglese postuma (1729), Newton menzionò i contributi di Hooke, ma con Wren e Halley, all’applicabilità della legge dell’inverso del quadrato al sistema solare, e più in generale all’astronomia planetaria, riconoscendo al rivale di aver destato il suo interesse, prima dormiente, verso la scienza dei cieli, ma senza avergli davvero fornito qualche cosa di nuovo o tantomeno d’originale: «yet am I not beholden to him for any light into that business but only for the diversion he gave me from my other studies to think on these things & for his dogmaticalness in writing as if he had found the motion in the Ellipsis, which inclined me to try it».
Pioniere dell’analisi matematica (e delle sue applicazioni alla sperimentazione ottica), nel suo contrasto con Hooke senz’altro Newton aveva più argomenti ed un maggiore talento per la sintesi di natura teorica, mentre il suo nemico – perché tale fu o, comunque, divenne – restava soprattutto una geniale figura di experimenter. Il loro destino di avversari era stato del resto chiaro, sin dagli albori: quando, tra il 1671 e il 1672, Newton aveva costruito e donato alla Royal Society il suo telescopio a riflessione e la propria New theory about light and colors, ne era nata una prima polemica, cresciuta poi tra il 1675 e il 1676. Per Hooke, i colori erano una modificazione della luce, mentre per Newton occorreva interrogarsi circa la luce, intesa come una mescolanda di colori, scomponibili mediante la doppia rifrazione prismatica, nella camera oscura. Non a caso, Newton pubblicò la sua Opticks solo nel 1704, all’indomani della morte di Hooke, sicuro oramai di non essere più contestato, signore del mondo accademico londinese e sovrano assoluto della scienza britannica.
La cultura illuministica del Settecento anglo-europeo scelse come noto Newton, anche grazie alle sue manovre istituzionali, non certo sempre moralmente corrette (si ripensi alla guerra tra di lui e Leibniz). Solo l’eminente matematico e astronomo francese Alexis Clairaut, nella sua Explication abregée du Systême du monde, et des principaux phénomenes astronomiques, tirée des Principes de Monsieur Newton (1759), riconobbe il glorioso esempio di Hooke, il quale diede basilari apporti, al campo degli studi gravitazionali, per quanto senza dimostrarne appieno la verità scientifica.


Nell'immagine, la copertina del libro di Robert Plot "Natural History of Oxfordshire (1677)"


Bibliografia

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Documento inserito il: 29/02/2024
  • TAG: Seicento, nuova scienza sperimentale, storia moderna, Royal Society, fisica, matematica, astronomia, geologia, storia politica e istituzionale, Inghilterra, Londra, Oxford

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