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Dalla Dama di palazzo alla Cortigiana [ di Rosa Ventrella ]

La bellezza diventa per le donne del Rinascimento un importante veicolo di seduzione. Se ne servono per ammaliare uomini importanti e utilizzarne, a proprio vantaggio, il potere. E’ tuttavia ancora difficile coronare il proprio amore nel sacro vincolo del matrimonio, deciso, ancora quasi all’unanimità, dai genitori dei futuri sposi. Solo in alcuni casi, rari, la scelta di convolare a nozze deriva da una precisa consapevolezza dei giovani amanti. La condizione di sottomessa della donna non è mutata rispetto all’epoca medievale, nonostante, a partire dal XIV secolo, le mogli godano di maggiore considerazione da parte dei mariti, soprattutto quando, lasciate sole per parecchio tempo, da consorti spesso in viaggio per lavoro, si dimostrano in grado di sostenere da sole l’economia domestica.
Sulla donna, però, aleggiano ancora numerosi sospetti da parte del marito. Egli teme che, tutte le volte che, per lavoro e affari, sia costretto a lasciarla sola, quella, per sua natura incline al peccato, lo tradisca. D’altronde, l’idea negativa della femmina peccatrice non ha ancora abbandonato l’immaginario collettivo e, di certo, i matrimoni combinati, non sollecitano la fedeltà. Più comunemente la donna viene vista come un intralcio, capace di disorientare e distogliere il marito dai suoi affari e dal suo impegno civile e culturale. La lascivia femminile non giova all’uomo che ha ritrovato la fiducia in se stesso e nel mondo. Anche per questo motivo pullulano testi il cui scopo è educare l’uomo alla ricerca della moglie perfetta. Una moglie deve pensare al proprio marito come all’uomo più saggio, più bello e affascinante che possa esserci. Per una donna l’uomo deve costituire il centro del proprio universo; deve essere disposta a piegarsi ad ogni sua volontà e compiacerlo in tutto. Grazie all’istituto matrimoniale, infatti, le donne vengono in qualche modo, salvate dalla loro natura “pericolosa” e indottrinate alle regole di una vita sana e pudica, grazie al ruolo di guida del marito! E’ opportuno fare una distinzione, però, tra ruolo della donna nei ceti sociali più alti della società e donna del popolo. Nel primo caso, infatti, assistiamo ad una certa rivalutazione del ruolo femminile. Alle donne si associano molte virtù, non solo fisiche, ma anche morali. La donna può godere di un minimo di libertà, può dedicarsi alle arti e alla cultura e, in molti casi, migliorare anche la condizione dell’uomo. Diversa è la situazione nei ceti medio- bassi dove la considerazione della donna è ancora di stretta subordinazione al marito. A lei competono solo doveri di madre e domestica. Non è poca la fatica che una moglie comunque deve compiere nei mestieri a lei riservati: occuparsi dei familiari anziani o malati, curare la casa e la prole. Nelle famiglie più povere poi le spettano la cura dell’orto e degli animali da cortile, la raccolta della legna, dello sterco, dell’acqua, i lavori più umili che non si addicono alla dignità del padrone di casa. La ragazza non ancora sposata, se appartenente ai ceti più umili, ha bisogno di lavorare per potersi dare una dote; spesso lascia la casa paterna e si mette al servizio di qualche famiglia benestante. Spesso le è concesso lavorare prima del matrimonio ma dopo non più. Il lavoro, infatti, è denigrante per una donna, la quale vi si può dedicare, solo nel caso in cui la famiglia versi in condizioni di estrema povertà.

Matrimonio e figli
Scopo principale dell’unione di coppia è la messa al mondo dei figli. Le gravidanze, nella vita di una donna, sono molte, e tanti i casi di morti precoci, soprattutto entro l’anno di vita. Nei casi di estrema indigenza i bambini che non si è in grado di mantenere vengono abbandonati nei brefotrofi, dove le condizioni igieniche scarse, il sovraffollamento, la rapida diffusione di malattie infettive, aumentano ancora di più il rischio di morti premature. Qui i piccoli vengono nutriti dalle balie, donne in fase di allattamento che si prestano ad allevare i piccoli abbandonati, alcune direttamente nella struttura del brefotrofio, altre a domicilio, impegnandosi a prendersi cura del piccolo per un certo periodo di tempo. La pratica del baliatico mercenario aumenta di molto il rischio di diffusione di malattie ai neonati, causandone spesso la morte. Anche le donne di ceto abbiente spesso vi ricorrono, privandosi del proprio figlio per un periodo non inferiore ad un anno, di solito. I motivi, però, sono diversi: a volte si tratta solo di pregiudizi relativi al deturpamento del seno che sarebbe causato dall’allattamento, in altri casi è una misura preventiva. Sul piano affettivo, ci si priva del bambino nel periodo in cui ha più rischi di mortalità per poi riprenderlo con sé quando, superato l’anno di vita, ha più speranze di sopravvivere. Partorire un figlio deforme, poi, è di solito una condizione non accettata che conduce a far ricadere sempre sulla madre le colpe. La sua nascita viene, infatti, interpretata come un castigo per i misfatti da lei compiuti. Nella maggioranza dei casi la sorte che spetta a questi piccoli così sfortunati è l’abbandono, che li conduce quasi sempre, alla morte entro brevissimo tempo. L’educazione e l’allevamento dei figli spettano in modo quasi esclusivo alla madre, anzi è il ruolo principale che le compete.

Le donne e la bellezza
Diversa, per molti versi, è la vita della dama di corte, della ricca benestante, per la quale la giornata trascorre tra frivolezze e piaceri. La maggiore libertà che le è concessa consente di praticare vita sociale, di dedicarsi alla lettura e alle discussioni nei salotti, di frequentare teatri e sale da ballo. Il teatro soprattutto è luogo di cultura ma è anche l’ambiente mondano per eccellenza, dove fare sfoggio non solo della propria bellezza ma anche del lusso. Alle dame piace ricoprirsi di drappi ricamati d’oro e d’argento, di pellicce e di costosi gioielli. Si indossano abiti in broccato, velluto, seta. Molto usati i cosmetici, fabbricati con sostanze minerali e vegetali, in taluni casi, molto costosi e importati dall’Oriente. La bellezza esteriore diventa un canone da venerare e sul quale spendere anche fiumi d’inchiostro. Nell’immaginario dell’uomo la donna perfetta diventa quella opulenta, formosa, dalla carnagione bianca. Di contro l’eccessiva magrezza e la carnagione scura vengono associate alle donne di infimo rango. Persino le abitudini alimentari mutano, sollecitando più l’attenzione verso cibi grassi o dolci che portino la donna ad ingrassare. Altro elemento degno di nota è l’attenzione all’istruzione della donna di ceto medio- alto, che diventa un fattore importante di cambiamento sociale e stimola l’interesse per il mondo letterario e artistico. La Chiesa è responsabile dell’educazione delle giovani di buona famiglia, che insiste soprattutto sull’insegnamento delle materie umanistiche, sulla lettura e scrittura, insieme ad alcune nozioni di aritmetica e cucito. Spesso, a soli sette anni, le bambine lasciano la propria famiglia per andare in convento, dove ricevono una rigida educazione. In alcuni casi la permanenza qui diventa una costrizione da parte delle famiglie che evitano così di incappare nella preparazione della dote, una vera piaga all’epoca perché estremamente esosa. La giovinezza, così, si consuma in una clausura soffocante perché non illuminata da vera vocazione ma semplicemente imposta per mere necessità economiche.
Il compito della dama di palazzo, però, non è semplice. La sua è una vita fatta di finzione, intenta nel suo ruolo di assecondare l’uomo e nella funzione principale di intrattenere gli ospiti a palazzo. Come ben ci descrive il Castiglione, nel suo “Libro del cortegiano”, alla dama si conviene cha abbia una “certa affabilità piacevole, per la quale sappia gentilmente intertenere ogni sorte d’mo con ragionamenti grati ed onesti, ed accomodati al tempo e loco (…), accompagnando coi costumi placidi e modesti, una pronta vivacità d’ingegno”. Le qualità che le si richiedono non sono poche, oltre ad una capacità di adattamento indicibile. La dama deve mostrarsi, quindi, docile, ma non troppo, pudica, prudente e umana, arguta e, quando l’uomo le parla, deve ascoltarlo con un po’ di rossore e vergogna. Una donna artefatta, dalle capacità quasi istrioniche, a cui resta ben poco di naturalezza. Per molti versi, è molto più libera, la cortigiana.

La cortigiana
La figura della cortigiana è un po’ il frutto della rivoluzione sociale che ha coinvolto la donna a partire dal periodo rinascimentale. I margini di libertà, l’interesse e la possibilità di coltivare gli studi, la frequentazione dei salotti letterari aprono le strade ad un processo di emancipazione femminile, che, in un certo senso, coinvolge anche coloro che sono dedite a soddisfare i reconditi desideri dell’uomo. La corte è un ambiente raffinato, colto e questo spinge anche le cortigiane a misurarsi con la raffinatezza ricercata delle dame di palazzo. Non meno di una donna di corte la cortigiana deve dimostrare di essere arguta, di saper parlare bene, mostrarsi esperta nella danza e nel canto, fare sfoggio di tutte quelle arti che, se in questo periodo si confanno ad una donna onesta e pudica, ancor più devono ritrovarsi in una meretrice. Abbiamo testimonianze certe della comparsa della figura della cortigiana a Roma già prima del Cinquecento, tant’è vero che la sua presenza è riconosciuta in documenti ufficiali della Curia papale, come un censimento redatto nel periodo tra il 1511 e il 1518, nel quale vengono enumerate case, botteghe, con i relativi proprietari e inquilini; di ciascuno viene citata la condizione e l’attività. Tra questi ritroviamo le cortigiane, la cui presenza sembrerebbe numerosa, distinte in diverse categorie: contesane honeste, contesane putane, contesane da candella, da lume e de la minor sorte. Nella maggior parte dei casi si tratta di affascinanti donne veneziane o spagnole, tra le più famose. In una città aperta ai traffici e ai commerci, crocevia di visitatori da ogni dove, Venezia si dimostra molto tollerante nei confronti delle cortigiane. Il “turismo” sessuale scatena una serie di forze centripete che attirano clientela verso la repubblica. In alcuni casi si legge addirittura che il fenomeno della prostituzione costituisca una vera e propria soluzione sociale al dilagare dell’omosessualità, non altrettanto ben tollerata dalla ricca città rinascimentale. Questo consente alle cortigiane di poter esporre pubblicamente le proprie grazie senza incorrere in nessuna pena, anzi, sembra che mostrare le “mercanzie” si renda necessario in un momento in cui l’amore eterosessuale sembra non attirare più molti uomini, nonostante la sodomia venga punita severamente, addirittura con la pena di morte mediante impiccagione. La città di Venezia poi regolamenta lo svolgimento di questa attività in modo minuzioso, indicando le zone e i quartieri dove poter “praticare”, le fasce orarie, tant’è che alla sera, dopo la terza campana, le prostitute sono costrette a rientrare a casa, pena il pagamento di una multa e dieci frustrate. Ancora più salata la punizione in caso di adescamento di uomini in periodi interdetti dalla Chiesa, come il periodo natalizio o pasquale e in altri giorni sacri . Anche tra le cortigiane esiste però una sorta di gerarchia: alcune appartengono ad infimi ranghi sociali, altre invece possono competere, in aspetto e raffinatezza con le dame di palazzo. Le honeste, per esempio, possono permettersi lussuosi abiti, possiedono inoltre, in molti casi una discreta cultura e amano l’arte e la letteratura. Spesso le dame di palazzo provano invidia per queste cortigiane che possono concedersi una vita molto più libera e scevra da severe regole di comportamento alle quali devono sottostare invece le donne oneste. La cura per l’aspetto esteriore poi non ha pari sia nell’abbigliamento sia nelle acconciature nelle quali danno sfoggio di splendide chiome rosse. Da un lato la cultura del serio e positivo, dall’altro la licenziosità; questo ritroviamo nel Rinascimento. Il clima sociale e culturale più aperto crea un senso di eccessiva libertà, intesa però, erroneamente e che conduce poi, per antitesi, al rigore claustrale. In questo periodo abbiamo modelli di virtù e di estrema trasgressione; nel primo caso pensiamo alla moglie di Giuliano de’ Medici, Filiberta o al modello femminile ritratto dal Castiglione. Difficile per una cortigiana gareggiare con una creatura così artefatta, alla quale deve cercare di assomigliare il più possibile, coltivando l’ingegno, la voce, la capacità dialettica, insieme alla danza e al canto, nonostante alcuni luminari, come il Garzoni, definissero tali arti adatte più a sedurre e ad attrarre. Nonostante la raffinatezza estrema di alcune cortigiane, nonostante deliziassero i lettori con versi non di minor fattura rispetto a poetesse come Vittoria Colonna e Gaspara Stampa, nonostante fossero circondate da paggetti e sfarzo, l’idea comune, diffusa, non è diversa da quella che si ha nel Medioevo: rimane pur sempre una donna di malcostume, la cui funzione conta nella misura in cui delizia e salva l’uomo per bene. La sua esistenza va vista in funzione di quanto serva all’uomo del Rinascimento, nonostante ci siano testimonianze di cortigiane capaci di provare vero amore e affezione. Pensiamo alla famosa cortigiana, poetessa della laguna, Veronica Franco, una delle più raffinate cortigiane del Cinquecento (nasce nel 1546). Si racconta che, nella sua vita pur dissoluta, sia stata in grado di provare veri sentimenti, come quando consiglia ad un giovane spasimante di studiare e lavorare, per dimostrarle il suo amore o quando scrive una lettera ad un anonimo prelato per confessargli il suo vivere dannato, tra errori e tormenti, tanto che si è portati a pensare abbia avuto, negli ultimi anni della sua vita, una vera e propria conversione.


Nell'immagine, il dipinto di Vittore Carpaccio Le Due Cortigiane, esposto al Museo Correr di Venezia.
Documento inserito il: 23/12/2014
  • TAG: dama, cortigiana, donne rinascimentali, bellezza femminile, matrimonio, figli

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