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Isole del tesoro: pirati britannici di età moderna tra storia, leggende e misteri

di Davide Arecco


Dal Devon all’America del Nord: l’inglese Humphrey Gilbert nel XVI secolo

Nella storia di età moderna, in particolare anglo-britannica, il confine tra la figura del corsaro e quella del pirata è sovente labile e sfumato. Servire la corona e essere un fuorilegge – con la prima cosa spesso preludio alla seconda, quando non concomitante – potevano convivere, nel medesimo attore storico-sociale. Fu il caso di Sir Humphrey Gilbert (1539-1583), politico e corsaro, originario del Devonshire, fratellastro di Walter Raleigh e cugino del navigatore e pirata Richard Grenville. Al pari di loro due, anche Gilbert fu insieme avventuriero ed esploratore. In effetti il contributo dato da corsari e filibustieri alla grande stagione delle scoperte geografiche nel Nuovo Mondo viene, troppo spesso, taciuto. Gilbert, membro del parlamento inglese e gran soldato, prestò servizio all’epoca del regno elisabettiano e fu tra i pionieri dell’Impero coloniale britannico in America settentrionale e in Irlanda. Razziatore e predone, militare con pochi scrupoli e gran letterato, più ancora di Releigh fu il simbolo di un’epoca e delle sue utopie.
Nativo di Compton, in gioventù Gilbert venne coinvolto, dallo zio Sir Arthur Champernowne, nella creazione di nuove colonie nelle terre irlandesi (1566-1572). Protetto di Henry Sidney, il Lord luogotenente dell’Irlanda di allora, Gilbert studiò con profitto ad Eton e a Oxford: studi universitari in occasione dei quali apprese francese e spagnolo, oltre a impratichirsi nell’arte della navigazione e nelle tecniche belliche. Nel 1561 si trasferì a Londra, presso l’Inns of Chancery. L’anno dopo, prese parte in Normandia agli assedi di Newhaven e Le Havre. Sino al 1566, fece la spola tra l’Inghilterra, la Francia e l’Irlanda, come diplomatico e spia al servizio di Sidney. Entrato a corte Gilbert presentò alla regina un suo Discourse of a discouerie for a new passage to Cataia, pubblicato poi nel 1576, a Londra, da Henry Middleton e contenente un progetto di esplorazione geografica, delle terre situate fra continente americano e Asia, alla ricerca del passaggio a Nord-Ovest. Un progetto apprezzato da Solomon e Job fra gli altri.
Da quel momento, Gilbert si dedicò alla carriera militare, in Irlanda. Nel 1569, fu il segretario dell’Ulster e propose un insediamento coloniale, presso Baltimora, nella contea di Cork, approvato dal Consiglio di Dublino e dal segretario di Stato, Sir Thomas Smith. Presto Gilbert venne coinvolto nelle rivolte dei Desmond, scoppiate nei territori dei Butler (famiglia amica del Conte di Ormond) e nel Leinster meridionale. In veste di colonnello dell’esercito inglese, Gilbert si spinse nella contea di Carlow e passò il fiume Blackwater nell’estate del 1569, muovendo guerra contro i ribelli guidati da James Fitz Maurice. Tramite assedi e sortite Gilbert marciò nella contea di Kerry e conquistò più di trenta castelli. I suoi uomini dimostrarono nell’occasione grande ferocia e lui stesso nulla fece per frenarli. Il secolo di ferro era già iniziato.
Tra il 1571 e il 1572, tornato in Inghilterra, Gilbert fu a Plymouth. Qui, si rivolse a ricerche di carattere alchemico e metallurgico, lavorando su rame, antimonio e mercurio. Abbagliato anche lui, come molti altri suoi contemporanei, dal mito della pietra filosofale, fece non pochi tentativi, volti a trasformare il piombo in oro. Operazioni belliche al servizio di Sua Maestà lo portarono nel 1572 in Olanda. Quindi, per oltre un lustro, la vita contemplativa ebbe temporaneamente la meglio su quella attiva: sino al 1578, Gilbert si consacrò infatti unicamente agli studi e alla scrittura. Coltissimo, era in possesso di un’ampia e fornita biblioteca. Accademico di vaglia, nel 1573 egli fu tra i fondatori del Gresham College (istituzione antesignana della futura Royal Society londinese), e della Society of the New Art, da lui creata assieme a Lord Burghley e a Robert Dudley, ambedue proprietari di un laboratorio alchimistico, a Limehouse. Gilbert, Burghley e Dudley furono tra i primi e più rilevanti alchimisti inglesi cinquecenteschi. Le loro operazioni nell’atanòr univano arti del metallo, fisica e nascente iatro-chimica. Non si persero comunque mai dietro alle chimere, metafisiche e speculative, dell’ermetismo. La loro – come un secolo dopo quella di Newton – restava un’alchimia operativa ed eminentemente pratica, fatta di prove concrete ed esperimenti di laboratorio, volta a quantificare e a pesare – nel costante rifiuto di misticismo, magia e fantasmi gnostici – composti e sostanze, queste ultime manipolate e trasformate mediante le tecniche distillatorie. Un interesse, quello nei confronti dell’alchimia, che ricollega altresì Gilbert al complesso ed articolato edificio, allora in costruzione, della prima scienza di età moderna. Versato in matematica applicata e meccanica, ingegneria navale e cosmografia, Gilbert si rivolse, comprensibilmente, come il contemporaneo e connazionale Dee, a tecniche nautiche e astronomia d’osservazione, entrambe indispensabili, per viaggi e navigazione di altura. Ma, e molto più concretamente di Dee, Gilbert seppe fornire un suo tangibile contributo nella creazione dell’Impero marittimo anglo-britannico, al tempo della monarchia Tudor. Questa, da parte sua, mise in atto accorte e mirate procedure di valorizzazione statale della scienza. Meglio ancora, si registrò, nell’Inghilterra elisabettiana, un primo caso storico di politica della tecnica, di ripresa e di riqualificazione, da parte dello Stato, dei nuovi saperi empirici, al servizio della nazione e della sua potenza sugli oceani del mondo.
Prese dunque corpo in Gilbert la passione per le spedizioni navali e l’arte marittima. Sostenne il viaggio e le indagini geologiche di Frobisher, in Groenlandia. Progettò viaggi atlantici in America del Nord, armando una flotta di vascelli. Nell’estate del 1579, Gilbert e Raleigh vennero incaricati – dal nuovo luogotenente d’Irlanda, William Drury – di contrastare gli aiuti spagnoli ai rivoltosi del Munster, allora in arrivo e via terra e via mare. Gilbert disponeva di due vascelli, e di una fregata, la Anne Archer, la Relief e la Squirrell, tutte e tre agili e poderose nello stesso tempo. Salpò così verso l’Irlanda, al largo di Land’s End e conducendo le proprie navi nel Golfo di Biscaglia. Operazioni di alterna fortuna, che lasciarono anche qualche perplessità, a corte. Elisabetta in fondo non lo amava, né lui si fidava di lei.
In quello stesso periodo, Gilbert – lettore di Marco Polo – tornò a caldeggiare la ricerca di un passaggio a Nord-Ovest, per il Catai (a quello a Nord-Est pensava il suo rivale, Anthony Jenkinson, autore di un coraggioso viaggio in Russia) e a studiare il problema delle rotte polari. Fece avere alla corte tudoriana vari suoi progetti. Secondo lui era necessario per la causa inglese raggiungere quelle terre, colonizzarle e contrastare in tale modo il dominio spagnolo. Finanziato dai fondi del mercante londinese Michael Lok, Gilbert riuscì ad organizzare una spedizione affidata all’intrepido Frobisher – corsaro e gran viaggiatore, esploratore e geografo, più tardi tra coloro che respinsero la Invincibile Armada di Filippo II – e partita dall’Inghilterra nel giugno del 1576.
Governatore del Kent, ma con gli occhi della mente sempre rivolti all’America settentrionale, dove desiderava conquistare territori, per la corona inglese, tra il 1581 ed il 1583, Gilbert ricevette vari finanziamenti da investitori cattolici inglesi, per un viaggio di esplorazione in Nord America, per loro una terra promessa, dove poter ricominciare tutto da capo. Sfidando l’opposizione del Privy Council, del Papa e della monarchia iberica, Gilbert riuscì a partire con una flotta di cinque navi, nel giugno del 1583. Raleigh lo aveva aiutato a trovare imbarcazioni ed uomini: criminali e disadattati, galeotti e pirati per lo più. La vita a bordo non fu facile, ma Gilbert raggiunse Terranova, dopo aver approfittato del viaggio anche per compiere atti di pirateria contro i vascelli portoghesi. Era l’agosto del 1583, appena due mesi dopo la partenza da Plymouth. Gilbert prese così possesso di Terranova, per conto e in nome dell’Inghilterra. Temerario come sempre – era solito navigare in acque costiere non mappate dalle carte – volle ripartire subito. Il viaggio si rivelò immediatamente una rischiosa ed infausta odissea: alcuni marinai avvistarono un mostro marino, l’oceano fece trovare alla flotta onde alte e mare molto mosso lungo tutto l’attraversamento dell’Atlantico. Giunto a Capo Race nei pressi delle Azzorre, Gilbert si imbatté in una terribile tempesta e la sua nave scomparve, inghiottita dalle onde. Era il 9 settembre 1583. Il generale era tornato al mare. Gli ultimi che riuscirono a vederlo, lo scorsero sul ponte della sua fregata impegnato a leggere un libro. Era l’Utopia di Thomas More, che conteneva un passaggio, per il quale la lunghezza del percorso verso il Paradiso era uguale da ogni punto. L’amore (accertato) di Gilbert per More era senz’altro la spia di una indiscutibile tensione in vista dell’oltre, un’ansia escatologica riportabile al millenarismo puritano, che proprio nel secondo e tardo XVI secolo cominciava a farsi strada, nelle isole inglesi. Persino curioso: Gilbert, come molti altri dei primi puritani, visse un’esistenza tutta sospesa tra azione intramondana e opposto desiderio di uscire dalla storia. E la sua uscita dal mondo avvenne nell’elemento che più gli era congeniale ed appropriato. Del resto, si sa, sulle tombe dei navigatori e marinai non crescono le rose e l’acqua è il loro sepolcro.
Tra gli uomini più controversi dell’Inghilterra cinquecentesca, violento e raffinato, intrepido e testardo, temerario ed amante degli azzardi, duro e colto, a un tempo, Sir Humphrey Gilbert non era privo di valore: passionale ed impulsivo, suscettibile e talora crudele, fu una mente viva ed un uomo carismatico, al quale pochi sapevano dire di no. Intellettuale visionario, perennemente insoddisfatto, fu una figura storica straordinaria, per spirito d’iniziativa e coraggio, originale e controcorrente, tra i fondatori a Terranova di un’avventura americana divenuta successivamente fiorente, in particolare a partire dal 1610. Fu tra l’altro Gilbert ad assegnare a Raleigh, nel 1584, la licenza esplorativa per la zona di Roanoke: la spedizione sull’isola portò come noto al primo vero insediamento coloniale, nel Nord America, da parte del regno inglese. Scrittore e pirata – tante volte superò il ruolo di corsaro – uomo di cultura e di mondo, Sir Humphrey Gilbert rimane, ancora oggi, una icona del Rinascimento elisabettiano sui mari, coraggioso e spietato. Morì fra le onde, perché quello era in fondo il suo vero mondo di appartenenza. La sua era stata una vita di sogni e violenza, specchio di un’epoca, grande e contraddittoria.


Il tesoro dello scozzese William Kidd a Oak Island tra XVII e XVIII secolo

Nel 1795 Daniel McGinnis, allora proprietario di Oak Island, alla ricerca d’un luogo nel quale costruire la propria fattoria, trovò uno strano avvallamento. Si convinse che la depressione presente nel terreno fosse dovuta a un pozzo occultatovi, sicuro che quest’ultimo fosse il posto dove il pirata William Kidd aveva nascosto il suo leggendario tesoro, quasi un secolo prima. Trovati due amici, si mise così a scavare, in cerca dell’oro. I tre, dopo diversi giorni di lavoro, durante i quali superarono ostacoli tanto naturali quanto artificiali (tronchi che parevano essere stati disposti, appositamente, a difesa di qualcosa), portarono alla luce dapprima una pietra ricoperta da strani simboli e, quindi, un forziere. Esausti, decisero, concordi, di estrarre lo scrigno la mattina successiva, ma, quando fecero ritorno sul luogo, il giorno dopo, trovarono il pozzo allagato senza più la possibilità d’esser liberato con i loro soli sforzi. McGinnis non si diede comunque per vinto: partito in cerca di finanziamenti, ritornò sull’isola nel 1807 e poi, ormai anziano, ancora nel 1849. Ad ogni modo, entrambi i tentativi di prosciugare il pozzo andarono a vuoto ed il presunto tesoro del capitano Kidd rimase in attesa sul fondo del Money Pit. Fin qui, una ricostruzione romantica che paga dazio alla leggenda, ma che non regge al lavoro di scavo storiografico. In verità, i cercatori di tesori non hanno infatti mai rinvenuto nulla, in fondo al misterioso pozzo. Né siamo in possesso di fonti documentarie di prima mano, ma, solamente, di ricostruzioni ottocentesche, le quali riportano in maniera indiretta le ricerche svolte a Oak Island alla fine del XVIII secolo.
Di Oak Island – isola della contea di Lunenberg, nella Nuova Scozia canadese, di cinquanta ettari (centoquaranta acri), ad undici metri sul livello del mare, nella Baia di Mahone – è celebre, in effetti, la fossa assai profonda che ha generato una lunga quanto infruttuosa caccia al tesoro. Molto al di là della storia, quella del Money Pit è rimasta infatti una famosa leggenda americana, al riparo da una vecchia quercia. McGinnis vi scavò con paranchi e carrucole allora usate sulle navi. Su di lui agirono certamente le affascinanti leggende locali, circa pirati e tesori nascosti. Trovò un pozzo – a più strati – contenente carbone ed argilla. Oggi, si ritiene che il fosso sia un condotto, che conduce a diverse gallerie sotterranee e forse a misteriose ed antiche tombe. Il pozzo – caratterizzato da piani, disposti ogni tre metri, costituiti da sistemi congiunti di tronchi e pietre – pare davvero un condotto di tubi, che parte dalla Baia di Smith, sottoposto a periodiche inondazioni di alta marea, proveniente dall’Atlantico. Sono state avanzate numerose ipotesi, sul presunto tesoro che il Pozzo di Oak Island custodirebbe gelosamente. Tra i cultori di storia esoterica e di archeologia misteriosa, vi sono alcuni secondo i quali si tratterebbe del vero tesoro della corona inglese, o del tesoro dei Templari – quella della Cavalieri giunti in America, prima di Colombo, per sfuggire alle persecuzioni, resta fra le più tenaci leggende della fantastoria – oppure ancora del Sacro Graal o dell’Arca dell’Alleanza. Proprio vero, i miti non muoiono mai. La vicenda dell’Isola di Oak, al riguardo, non fa eccezione ed attesta, semmai, una volta di più l’apporto della costruzione leggendaria alla narrazione storica, il suo nesso talvolta inestricabile con essa.
La mitografia relativa al tesoro di Oak Island ci riconduce, naturalmente, alla figura del pirata scozzese William Kidd (1645-1701). Tra i più celebri corsari del XVII secolo, incaricato all’inizio di combattere la pirateria, ad un certo punto Kidd si unì proprio ai pirati. La sua parabola – tutta in poco più di dieci anni, a ben guardare – fu quella di molti altri corsari del Seicento. Nel 1689 (poco sappiamo, sulla sua vita precedente), la corona inglese gli affidò il comando di una nave e la patente per esercitare la guerra di corsa. Kidd doveva recuperare le merci rubate dai pirati ed attaccare, poi, le navi della Francia, con la quale l’Inghilterra era in guerra, per indebolirne la forza marittima. Lo allettarono non poco i proventi delle razzie piratesche su cui poteva mettere le mani e i tesori che, in breve tempo, avrebbe potuto accumulare. Kidd fece il proprio apprendistato presso i cantieri navali di Deptford, sulle rive del Tamigi, quando era, ufficialmente, ancora soltanto un corsaro. Fu uno dei pochissimi pirati a cui venne data la possibilità di ordinare la propria nave, veloce e manovrabile, a fronte di un (comunque) considerevole tonnellaggio. Una autentica nave da combattimento – novità quasi assoluta, per quegli anni – e provvista perciò di numerosi cannoni. Kidd richiese un sistema di propulsione tradizionale (i remi), ma uno scafo moderno, per raggiungere a vele spiegate velocità di tutto riguardo, sino a quattordici nodi. Insomma: una nave pesante, adatta al combattimento in mare, ma resistente come un mercantile. Kidd volle una grande cabina dove potersi riunire con gli ufficiali e ingenti depositi di polvere da sparo. Le munizioni dovevano arrivare a contenere sei tonnellate di proiettili. La stabilità dell’imbarcazione doveva venire garantita da vari materiali pesanti, collocati a mezzanave per mantenerla sempre in costante equilibrio, specie presso fondali sconnessi.
Inviato in principio nelle Indie occidentali, il capitano Kidd stabilì la sua prima base corsara a Nuova York. La sua nave, fornitagli dalla Royal Navy, era l’Adventure Galley, potenziata con quasi quaranta cannoni e ottanta uomini di equipaggio. Il suo compito era quello di catturare tutte le navi francesi e pirata che navigavano al largo delle coste del Madagascar. Il primo socio di Kidd fu Lord Bellomont, membro del parlamento inglese ed allora governatore della provincia di Nuova York. Fu Bellomont a trovare i sostenitori dell’impresa, mentre Kidd reclutò i membri dell’equipaggio. Nella realtà, Kidd era solo una pedina nelle mani del Re e dei suoi accoliti: Guglielmo III infatti l’ingannò autorizzando i soci finanziatori a tenere per sé ogni profitto delle scorrerie del capitano. A settembre del 1696, intanto, Kidd aveva fatto salire il numero dell’equipaggio a quasi centosessanta unità, con marinai e tagliagole, assoldati direttamente in America. Al motto di ‘nessuna preda, nessuna paga’, Kidd ed i suoi uomini partirono così alla volta delle coste malgasce. Fu un viaggio lungo e difficile, con lo scorbuto che colpì numerosi marinai. Arrivata la Adventure Galley a destinazione, una gran parte dell’equipaggio si ammutinò e passò quindi dalla parte dei pirati. Kidd seppellì la sua Bibbia e stracciò la lettera di corsa di Re Guglielmo – documento che gli vietava l’attacco a navi civili, dietro fini personali – ed intraprese la sua nuova carriera piratesca. Momento di svolta nella sua vita, il 14 agosto 1697 il capitano scozzese issò la bandiera rossa dei pirati sull’albero maestro della sua nave ed attaccò un’imbarcazione della Compagnia delle Indie Orientali, comandata dal capitano Barlow, alla guida di un vero e proprio convoglio. Usando i remi, per via del vento debole, Kidd fece rotta in direzione della costa di Malabar e rinunciò alla fine all’attacco frontale. Fu più abile e fortunato con un mercantile inglese e due navi, battenti bandiera portoghese, solamente pochi mesi dopo, nel Mar Rosso. Una delle sue zone predilette, nelle quali si fece presto temere, come confermano i giornali di bordo di diversi comandanti (Barlow e non solo).
Le successive azioni del pirata ebbero luogo nelle Laccadive, l’arcipelago indiano, al largo del Kerala, non senza soventi problemi con i sottoposti, trattati sempre da Kidd con durezza. Qualcosa, evidentemente, rimaneva della disciplina militare di un tempo. Il 30 gennaio 1698, la nave di Kidd catturò la Quedah Merchant, carica di merci e di cibo. Un bottino di oltre settemila sterline, il tesoro più grande per un pirata dell’epoca. Londra dichiarò a quel punto illegali le sue attività. Fu ricercato dalle autorità inglesi in tutta l’area caraibica. Kidd tornò allora in America, attraccando a Boston per negoziare con Lord Bellomont, il quale rimaneva il suo socio in affari. Quest’ultimo, anche al fine di salvare se stesso, decise di tradirlo e di consegnarlo al governo britannico, attratto, tuttavia, anche dal miraggio del tesoro del capitano. Nella capitale inglese, il sovrano, appoggiato dai suoi ministri e cancellieri, voleva la sua testa. Un voltafaccia ipocrita, dato che proprio il monarca orangista ed i politici liberali avevano aiutato Kidd, in precedenza. Per scagionarsi, fecero ricadere tutte le accuse su Kidd, che divenne il capro espiatorio per tutti gli atti di pirateria compiuti in quegli anni. Il pirata seppellì allora una parte del suo tesoro, ammontante a quattrocentomila sterline, a Cherry Tree Field a Gardiner’s Island. Bellomont peraltro lo recuperò subito e inviò a Londra, come prova a carico del capitano. Quest’ultimo venne arrestato dagli uomini del suo ex amico, nel settembre 1699, e spedito in Inghilterra per affrontare un processo che resta certo fra i più iniqui della storia.
All’inizio del procedimento giudiziario contro di lui, Kidd scrisse una lettera a Lord Oxford in difesa del proprio operato, nelle acque dell’Oceano Indiano. Ricordò le sue azioni contro i francesi, al servizio della marina britannica. Prigioniero, accusato in gran parte ingiustamente e abbandonato da coloro che ne avevano in principio patrocinato le attività corsare, solo e malato, Kidd fu portato a Whitehall e lì interrogato a lungo. Trascorse quasi un anno nella famigerata prigione di Newgate. Il 27 marzo del 1701 venne interrogato presso la House of Commons, primo e unico pirata della storia chiamato a giustificarsi in una sede parlamentare. Altre udienze ebbero luogo ad inizio maggio. Non abbiamo a disposizione molti documenti in merito, anche perché gli sgherri di Guglielmo III fecero sparire le lettere di corsa, gli ordini originali dell’Ammiragliato e i salvacondotti delle navi francesi catturate da Kidd. Condannato, senza appello, dalla giuria, il capitano fu giustiziato, sul Tamigi, nel quartiere londinese di Wapping, presso l’Execution Dock. Nel XIX secolo, un riferimento a lui e al suo leggendario tesoro fu inserito da Poe nel racconto Lo scarabeo d’oro.
Fu, quella del capitano Kidd, un’utopia libertaria? In parte sì e in parte no. Il suo fu un mondo di marinai e schiavi, di soldati e plebaglia, ma pure di gruppi organizzati, come appunto i pirati e gli affiliati a sette religiose radicali e antinomiane, indipendenti e separatiste, eroi loro malgrado di una lotta che durò dalla fine del XVI secolo alla metà almeno del XVIII. Una vera ‘storia dal basso’, per riprendere in questa sede le categorie storiografiche care a Hill, Thompson e Grendi. Senza dubbio, la scoperta di nuove rotte marittime, verso le Americhe e le Indie Orientali, contrassegnò una nuova fase storica. Vennero, infatti, aperte vie commerciali, fondate colonie, avviata una nuova economia trans-atlantica, organizzate forze per produrre ed esportare l’oro dalle miniere, nonché per smerciare pellicce e tabacco, zucchero ed altri manufatti. Tutto ciò rendeva vitale il controllo, capillare, delle rotte navali, delle popolazioni e dei territori stessi, con moltissimi diseredati impiegati e nei porti e sulle navi. I pirati – come, in parte, furono Gilbert e Kidd – erano i profeti d’una ribellione, specie il secondo, che non avevano peraltro cercato. Una ribellione che, al principio del Settecento, esplose a Nuova York e si estese, a macchia d’olio, coinvolgendo, a più riprese, i porti dell’Atlantico. Pirati e puritani, radicali e libertari avevano indubbiamente questo in comune: erano ribelli, per quanto non sempre consapevoli e non sempre così organizzati come si pretende. La loro epopea rimane la storia perduta di individui cosmopoliti, che si mossero sul palcoscenico degli eventi nel momento in cui i traffici marittimi e le guerre sui mari intrecciavano i propri piani con la nascita della (già globale ed atlantica) economia moderna al servizio degli Stati nazionali.

Per Keith Jarrett


Nell'immagine, Mappa del presunto tesoro del Capitano Kidd.


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Documento inserito il: 17/11/2024
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